Il cinema è poesia
Chi se lo ricorda? Ai nostri occhi spesso smaliziati e liberi dall’ingenuità, abituati ai supereroi, Anselmo/Luca Argentero, il protagonista di Copperman (l’uomo rame), il nuovo film di Eros Puglielli, sembrerà un folle. Invece è una di quelle favole moderne che rinnovano la bellezza di chi ha conservato l’innocenza, l’incanto, anche se i cosiddetti “adulti” non lo capiscono o lo deridono. Anselmo, dunque. Fin da bambino è diverso. Non ama il colore giallo, ama le cose tonde, è rifiutato dai compagni, è amico di una ragazzina, Titti, vittima di un padre manesco e orfana di madre, morta in un incidente. Lui crede che suo padre – scomparso – sia un supereroe dei fumetti, finché la madre (Galatea Ranzi), diventato ormai adulto, non gli dirà che è stata abbandonata dall’uomo. Nonostante questo, Anselmo mantiene l’istintivo bisogno di aiutare gli ultimi e di sconfiggere i cattivi. Così l’amico fabbro (Tommaso Ragno) per proteggerlo gli prepara un’armatura di rame con la quale, di notte, l’eroe correrà per il paese – siamo nell’Umbria, a Spoleto – a salvare le vittime dell’ingiustizia, come una giovane prostituta. Va pure alla ricerca di Titti, ormai madre di una bambina e vittima ancora del padre-orco uscito dal carcere e nemico giurato di Anselmo e di sua madre.
Copperman sogna ad occhi aperti, si stupisce della bellezza della natura, ama tutti: è un puro di cuore. Il dolore, la tragedia però non si fa da parte, e il giovane deve imparare a lottare per difendere la vita di chi ama, di Titti e della madre. Ma non perde la sua purezza. È un diverso, nel senso di pulizia, innocenza, generosità.
Rapido, il film è dolce e forte, e l’interpretazione di Argentero (che negli occhi e nel corpo “è” Anselmo) e degli altri attori è quanto mai coinvolgente e sincera. Certo, il racconto è una favola che però ha molto da dire. Lo stupore negli occhi di Anselmo vince la diffidenza di Titti adulta, la cattiveria del padre di lei, e lo fa volare per i sentieri dell’immaginazione e della poesia. «Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi», avrebbe detto il piccolo Principe. Perché Anselmo, di fatto, è la poesia. Da non perdere.
Una poesia corale, lirica e drammatica, silenziosa, fatta di sguardi, poche parole, tempi calmi, in apparenza monotoni in realtà pieni di sentimento, caratterizza il film di Thomas Stuber, Un valzer tra gli scaffali, premio della Giuria ecumenica alla 68a Berlinale. Cristian (un ottimo Franz Rogowski) è timido, introverso, taciturno. Lavora in un grande supermercato alla periferia di una cittadina della Germania Est. Il corpo tatuato rimanda a un’adolescenza difficile, ma ora il giovane vuole rifarsi una vita. Il microcosmo umano lo osserva, ironizza su di lui, ma lo stima. Bruno, il suo capo, è burbero, ma lo aiuta nel lavoro di magazziniere. C’è però Marion, donna bionda e sfuggente, ironica, di cui il ragazzo si innamora, le fa una corte delicatissima, pulita. Le notti sono lunghe, i giorni pure nella solitudine del ragazzo, ma l’amore si va facendo strada tra gli scaffali come un valzer lento, delicato e potente al tempo stesso. Christian soffre, eppure con Marion la vigilia di Natale c’è un momento di tenerezza. Egli pensa a sviluppi futuri, lei sparisce, lui la cerca. Si incupisce, Bruno lo aiuta a sperare, proprio lui che vive un grande dolore. Lei è comunque la luce della vita, lo illumina durante i turni di notte, regna nei suoi pensieri. Ritornerà? Christian è un puro di cuore, sta ritrovando l’innocenza, e il dolore che lo prende non intacca la voglia di amare, perché ha trovato il conforto amico di Bruno, rude operaio ex camionista non più giovane, senza figli.
Anche in un supermercato anonimo e frustrante la poesia dell’amore può entrare, calda come un valzer, e far sperare. È la speranza che nonostante tutto aleggia a far del film così scarno, indugiante, e fatto di occhi e di una luce grigia, una poesia della tenerezza, dell’attesa e della comprensione. Un film di sentimenti come pochi. Esce il 14 per San Valentino.