Il cielo sopra i cappelli

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Chi sarebbe Sandokan, senza lo sgargiante turbante malese? O Che Guevara senza il malizioso basco? O Charlot senza l’immancabile bombetta? O John Wayne senza il baldanzoso cappello da cow-boy? O la regina Elisabetta senza la scintillante corona? Come ogni pentola ha il suo coperchio, ogni persona ha bisogno del proprio copricapo, dicevano i vecchi. E infatti 40 o 50 anni fa era quasi impensabile per gli uomini uscire di casa senza il cappello. Mio nonno non l’ha mai fatto. Aveva un cappello per tutti i giorni, e quello buono per le feste. Che si toglieva solo per entrare in chiesa, quando le donne indossavano il velo. Modi contrastanti per mostrare il medesimo rispetto a Dio. Gli uni scoprendosi il capo, le altre coprendolo. Ma era un simbolo del momento sacro, diverso rispetto alle altre azioni quotidiane. Perché si portano i cappelli? Le risposte sono le più varie: per tradizione, per decoro, come segno di appartenenza a un determinato gruppo. Chi abita le terre della Siberia e dell’Alaska non ha dubbi: per ripararsi dal freddo! Ricordo un tizio, in Egitto, che togliendosi la kefiah e mostrandomi la pelata mi disse: Pensi che avrei la stessa aria autorevole senza di questa?. Se, in Occidente, la gente usa meno indossare i cappelli (anche le coppole siciliane e i berrittas sardi sono relegati a oggetto di folclore, buoni per le feste paesane), in gran parte del mondo i copricapo si usano ancora. Tanti sikh indossano il turbante come segno distintivo, anche se non religioso, per raccogliere i capelli che molti di essi non tagliano mai. In Turchia si possono ancora vedere i tradizionali fez, i taqiyya, o i cilindrici tarbush, rosso scuro. Un tempo il tarbush era imposto dagli ottomani come unico copricapo ammesso nei loro territori, per gli appartenenti a qualun- que religione. Così si trovano ancora oggi in Israele ebrei che portano il tarbush. Ci sono poi i religiosi sciiti, che indossano il turbante bianco o nero: il nero è esclusivo dei sayyid, dei discendenti del Profeta Muhammad. Molti arabi o beduini indossano la kefiah, o una delle sue varianti, in colori bianco, rosso o nero: quella bianca indica gli uomini d’onore e gli anziani; la indossava anche Lawrence d’Arabia. Arafat dal ’67 ha imposto la moda della sua kefiah a scacchi bianca e nera divenuta simbolo di Al Fatah, mentre quella bianca e rossa lo è del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Gli ebrei osservanti devono sempre stare a capo coperto, in tutti i momenti e in tutti i luoghi, per rispetto al cielo di Dio, che sta di sopra. Alcuni si limitano alla kippah, lo zucchetto; ma gli ortodossi indossano cappelli di feltro nero, a bombetta o a falde larghe, sotto i quali danzano i ricciuti cernecchi. Alcuni di essi portano lo shtrymel di pelliccia. Sono retaggi del Settecento, dei tempi in cui i loro progenitori abitavano le pianure della Polonia, dell’Ucraina e della Russia. Perché li indossano ancora? E spesso sotto il cielo infuocato di New York o di Gerusalemme, dove costituiscono un vero tormento. Solo come segno di appartenenza? No.Non solo mi dice un ebreo ortodosso ma voi goyim (= gentili) non potete capire. Come si può spiegare la nostra vita? Quello che ci fa sussultare il cuore? A voi sembrano solo stranezze. I copricapo per gli ebrei rievocano tristi memorie. Il quarto Concilio lateranense, del 1215, impose a tutti gli ebrei di indossare una fascia gialla sui vestiti e un bizzarro copricapo per contraddistinguerli e umiliarli. In Olanda nel XVI secolo agli ebrei era imposto di portare un cappello con una coda di volpe: lo stesso segno distintivo che dovevano mostrare i disabili, i mendicanti e i lebbrosi quando potevano mescolarsi con i normali durante le feste. Forse ha ragione quell’ebreo: il cappello un tempo indossato come pedaggio d’umiliazione, è ora portato come segno di ricordo e di distinzione. Ma sono cose che, se non si hanno nei cromosomi della memoria, non si possono comprendere. Tra i copricapo religiosi più suggestivi ci sono le incantevoli mitre dei vescovi, specialmente di quelli delle Chiese ortodosse e d’Oriente. Ci sono gli appuntiti cappucci neri dei monaci armeni, che ammantano tutta la schiena: simbolo del sublime monte Ararat che s’innalza dalla loro terra martoriata, sul quale, si dice, approdò l’arca di Noè. I monaci della Chiesa siriana indossano un copricapo diviso a metà, che ha una storia curiosa. La tradizione lo fa risalire al primo monaco, Antonio del deserto. Al quale un giorno Dio chiese, in visione, di fabbricarsi un copricapo, in ricordo del celibato che aveva abbracciato. Lui fece esattamente come Dio lo aveva istruito, ma nella notte venne satana per strapparglielo. Lottarono: il monaco ebbe la meglio, ma il demonio gli strappò il cappello in due. Per questo il copricapo dei monaci siriani ha una vistosa cucitura in mezzo: per ricordare che satana è ovunque e che bisogna sempre lottare contro di lui. Per i religiosi cristiani, comunque il copricapo è sempre un ricordo della corona di spine portata da Gesù nel momento della condanna a morte. Mi sono dilungato sui cappelli dei maschi. Per le femmine, la storia è più complicata. Le donne ebree ortodosse coprono il capo quando si sposano: il velo diventa una vistosa fede nuziale. C’è anche la particolare tradizione seguita da alcuni gruppi religiosi ebrei, che obbliga le donne a radersi il ca- po… ma a indossare parrucche: quasi sempre fatte di capelli veri – spesso più belli di quelli autentici. Contraddizioni dell’ebraismo! Gran parte delle seguaci dell’Islam, esce di casa con il capo coperto. Ci sono controversie: alcuni interpreti del Corano affermano che il libro sacro obbliga le donne solo a coprirsi il seno e le parti intime; altre letture più restrittive del testo affermano che le donne debbano essere tutte coperte, ad eccezione del volto e delle mani. Così, col tempo sono nati i vari: hijab, chador, nikab, fino a giungere al burqa sotto il quale la femminilità si dilegua in fantasmi. Il motivo? Come simbolo di purezza, di pudore, di sottomissione all’islam. È per ricordarci di pregare e per non essere importunate da sguardi maliziosi, dice una ragazza islamica. Ma non tutte la pensano così. Ci sono donne musulmane che vedono nel velo il sigillo del predominio d’una cultura tipicamente maschilista. Trasportati in Occidente questi simboli religiosi – che hanno una loro storia che spesso fatichiamo ad afferrare – sembrano, secondo alcuni, in contrasto con una visione laicista dello stato. A volte ottusamente rigida. E nascono polemiche. Ma perché fin dai tempi antichi di tanto in tanto s’è voluto nascondere i capelli? Quando poco c’è di più bello e libero dei capelli che volteggiano nel vento. Forse perché i capelli sono un dirompente simbolo di sessualità e di forza. Ne sono esempi il biblico Sansone; e la mitica, terribile, Medusa, con serpenti al posto dei capelli. Una stravagante leggenda della cabbalà, la mistica ebraica, narra che la prima moglie d’Adamo in realtà era Lilit, una bellezza mozzafiato con una conturbante chioma rossa. Adamo si trovava in imbarazzo con quella donna così spavalda, e chiese a Dio di scacciarla dall’Eden. Dio acconsentì e fece per lui, da una sua costola, Eva, che egli accolse subito come più rassicurante e dolce compagna. Lilit divenne regina dei demoni. Per colpa dei capelli. Chissà! Un tipo di Gerusalemme una volta disse: Sapete perché in questa città santa così tanta gente, arabi, ebrei, armeni, indossano cappelli? Come simbolo di appartenenza, sicuramente, o per motivi religiosi, come atto di riverenza verso il cielo. Ma anche… si dice che Gerusalemme sia il posto più vicino al paradiso. E quando si è così esposti al cielo, non è mai male starsene un po’ nascosti sotto un cappello!.

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