Il “che tutti siano uno” di una comunista

Che caspita c’entra Bella Ciao in un’austera abbazia, quella di Abbadia San Salvatore? Che c’entra una canzone come Imagine di John Lennon, che invoca un mondo senza religione? C’entrano, sia Bella Ciao che Imagine, perché una donna ha saputo porsi come “tu” dinanzi a un gruppo di cristiani che aveva la pretesa di fare del mondo una cosa sola, come cantava il beat, ma come (anche e soprattutto) diceva un uomo che è morto in croce venti secoli fa, morto anche per lei, Luciana Scalacci, che non credeva nella sua divinità, ma nella sua umanità sì, forse anche molto più di tanti cristiani.
Di Luciana ha già scritto il direttore di Città Nuova, Giulio Meazzini, che ha tracciato la sua biografia, esemplare nella straordinaria passione per il bene dell’umanità. Luciana sognava un mondo in cui non un solo bimbo morisse di fame. E lo diceva pure. Comunista pure e dura, membro del partito nella “Piccola Russia” che era la sua Abbadia San Salvatore, forse era memore del “Cristo dell’Amiata”, David Lazzarini, che in cima al monte aveva costruito una cittadella di vita comune, che aveva il grande obiettivo di risolvere il problema sociale della regione, portando un colpo decisivo al sistema quasi feudale che ancora esisteva ad Abbadia e a Piancastagnaio nel finire del XIX secolo. David morì per la pallottola sparata da un carabiniere. Luciana è morta invece in un letto di ospedale, ma anche lei senza aver visto quei “cieli nuovi e terre nuove” annunciati dalla Scrittura cristiana o quel “trionfo del proletariato” della tradizione comunista. Ma ha dato la vita, questo è un fatto, per una reale prossimità, a una vera amicizia tra credenti in Dio e tra “diversamente credenti”.
«Avanti popolo alla riscossa – aveva detto pochi giorni prima di morire a Maurizio Certini del Centro la Pira −, questo deve essere lo slogan del Movimento dei Focolari, il popolo di Chiara alla riscossa». In fondo, l’ut unum sint, il “che tutti siano uno” del Testamento di Gesù, era stato trasposto in questo modo dalla passione laica di Luciana Scalacci. E poi, il comunismo non voleva l’unità come il cristianesimo? Non a caso, negli anni Quaranta il nascente Movimento dei Focolari veniva accusato di essere protestante e comunista, pur essendo cattolicissimo. La fondatrice, Chiara Lubich, più di una volta disse che i focolarini sarebbero stati sepolti con Città Nuova in tasca, come i comunisti venivano sepolti con l’Unità in tasca.
In una recente giornata passata con Luciana Scalacci per un’intervista televisiva, ho avuto l’impressione che si impegnasse in un comizio rivolto al mondo intero, anche se in fondo eravamo solo quattro o cinque persone ad ascoltare la sua voce, tra cui la regista Tamara Pastorelli e l’operatrice Francesca Domenella. Ecco, nei trent’anni o quasi di reciproca conoscenza, Luciana l’ho sempre vista in cattedra, o su un palco, anche quando eravamo seduti a sorbire un aperitivo a casa sua, e di Nicola Cirocco, marito amatissimo, o della figlia Mascia, colei che l’aveva avvicinata ai cristiani focolarini. Anche in punto di morte faceva un comizio, non per mettersi in mostra, ma per mettere in luce i più poveri, i più diseredati, per mettere in luce i suoi amici − cristiani o comunisti che fossero − impegnati nella stessa battaglia.
Senza transizione, entro le belle mura romaniche dell’abbazia, si è passati dunque dalle note di Bella Ciao al segno della croce tracciato dai celebranti, dando così inizio alla messa. Qualcuno potrebbe gridare allo scandalo: ma l’amore reciproco esistente in un’assemblea composta per metà da credenti nella fraternità basata su Gesù Cristo e per l’altra metà da credenti nella stessa fraternità universale, ma tutta umana, ha testimoniato che non c’era nulla di blasfemo, l’amore vero non è mai tale, è sacro, anzi santo. Forse i credenti non religiosi presenti nell’abbazia non hanno molto a che fare col sacro, ma col santo sì, quel santo che è Gesù, uomo-Dio.
Come si deve in un buon comizio, il funerale è stato diffuso dagli amplificatori posti alla porta dell’abbazia di San Salvatore, sulla piazza del paese dove stazionavano alcuni gruppetti di “diversamente credenti” che erano usciti di chiesa dopo la parte laica del funerale.
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