Il centauro e l’animale di Bartabas
Al Torinodanza Festival, per la prima volta in scena in Italia Le centaure et l'animal. Un incontro tra la carovana multietnica del Théatre équestre Zingaro e il giapponese Ko Murobushi
L’edizione 2011 di Torinodanza Festival, articolata in quattro “focus” – quattro distinti nuclei tematici volti ad indagare l’eterogenea fisionomia della danza contemporanea – , si è inaugurata con un personaggio leggendario, Bartabas. Ha così portato in scena per la prima volta in Italia Le centaure et l’animal, spettacolo che nasce dall’incontro inedito tra il creatore della compagnia Théâtre équestre Zingaro alla guida della sua carovana multietnica – che conta danzatori, attori, musicisti, e cavalli – e il 63enne Ko Murobushi, grande interprete del Butô giapponese. L’intensa profondità della danza di Murobushi e la forza del gesto equestre di Bartabas aprono le porte di uno spazio inaspettato, conducendo il pubblico in un tempo e in un territorio di profonda ed energica bellezza.
Dopo il fortunato Liturgie équestre, Bartabas avanza nell’approfondimento e nell’esplorazione di linguaggi poetici e musicali di matrice orientale, che costituiscono una parte essenziale del suo lavoro. Un’eccitante avventura artistica che si insinua lungo i confini e attraverso gli accessi a due universi sensibili. In scena, proprio come il mito del centauro impone, uomini e cavalli. Perché, da più di venticinque anni, il teatro, il tendone, la relazione tra l’uomo e l’animale corrispondono a una scelta di vita prima che di arte e mestiere, per creare visioni quasi mistiche, surreali eppure profondamente nutrite dalla riflessione sul destino dell’uomo.
Sulla pista quattro dei suoi magnifici cavalli: Horizonte, Soutine, Pollock e le Tintoret. Su un lato della scena, coperta di terra bianca, sta invece Murobushi, immobile, accucciato su un pianoforte. Il suo movimento acquisterà via via contrazioni, sbatterà il corpo sofferente contro un’enorme lastra metallica in cerca di una trasformazione. Sulle sonorità di boati e lacerti creati dalla musica di Jean Schwarz, Bartabas fa scorrere il testo, Les Chants de Maldoror di Lautrémont, letto fuori campo come una musica, un’eco di parole fusa con la scena e la danza, il passo dei cavalli, creando un moto sospeso, poi violento, quindi frenato fino all’immobilità.
Dallo spazio scuro, che trascolorerà in oro, compariranno le prime sagome di cavallo e cavaliere. Prima silenziose, con Bartabas avvolto in abiti lunghi che si trasformeranno in braccia da farfalle trasfigurate in volteggi luminosi, per poi riscomparire nel buio. Emergerà una terza figura, un servo di scena, la cui ombra corre davanti al galoppo del cavaliere ingaggiando una lotta di identità, un fronteggiarsi senza mai lambirsi. In questa ricerca di un’unione tra uomo e animale, tra intelletto e istinto, c’è il senso di una rinascita dell’uomo, che ha carpito l’istinto, celebrata sotto una pioggia di sabbia, quando il cavallo di Bartabas scivola a terra come se morisse per poi rivivere. E nel finale Murobushi cammina, finalmente, nello spazio del centauro. Una visione che apre lo sguardo verso un nuovo orizzonte.