Il Censis e la sindrome italiana
Ogni anno aspetto con un certo interesse il varo del Rapporto Censis che annualmente leggo da oltre 20 anni. È senz’altro una finestra privilegiata dove godere o meno del panorama socioeconomico dell’Italia e oltre i numeri e le statistiche se ne vedono delle belle.
Per il rapporto Censis 2024 siamo tutti intrappolati nella “sindrome italiana”, quella continuità nella “medietà”, senza grandi slanci né profonde crisi, che nasconde purtroppo tranelli. Gli italiani si barcamenano aggrappati ad una linea di galleggiamento che impedisce di affondare nei momenti recessivi ma frena slanci “eroici” nei momenti di crescita. Questa apparente tranquillità – rivela il Rapporto Censis 2024 – nasconde frustrazione, rabbia e sete di giustizia.
Mentre la crisi economica del ceto medio lascia la porta aperta, forse una certa novità, all’antioccidentalismo (il 66% degli italiani incolpa l’Occidente delle guerre in corso). Si incrina la fede nelle democrazie liberali e nell’Europa unita. Intanto l’Italia che cambia (prima in Europa per acquisizione di cittadinanza, +112% in dieci anni), è “il Paese degli ignoranti” che ignora Dante. E poi, ancora, il Censis sottolinea i conti che non tornano, la sfida del welfare e del passaggio intergenerazionale.
La stagnazione economica alimenta l’avversione verso il passato. Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee segna un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979 l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. E il 66,3% attribuisce all’Occidente (Usa in testa) la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente.
La dialettica politico-sociale è polarizzata sulla logica amico-nemico. Il 38,3% degli italiani si sente minacciato dai migranti, il 29,3% prova ostilità per chi ha una rappresentazione della famiglia diversa da quella tradizionale. Il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso. In una parola, non crediamo assolutamente nel fatto che la diversità sia un valore.
I nuovi italiani figli dell’immigrazione
Nel 2023 i nati da almeno un genitore straniero sono stati 80.942, pari al 21,3% del totale: un neonato su cinque. Gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole nell’anno scolastico 2023/2024 sono 931.323, pari all’11,6% del totale, una quota che raggiunge il 13,7% nella scuola primaria e il 12,7% nella scuola dell’infanzia. Le famiglie con almeno un componente della coppia straniero sono 2,6 milioni, pari al 10,1% del totale. E sono oltre un milione i minori stranieri residenti in Italia: l’11,8% del totale.
Secondo una indagine del Censis, il 91% dei giovani di seconda generazione (nati in Italia o giunti in età prescolare, con almeno un genitore che ha vissuto un’esperienza migratoria) ha visitato almeno una volta il proprio Paese di origine, l’80,2% prova un sentimento di orgoglio per quel luogo, l’80% desidera conoscerne la storia e le tradizioni, il 41,8% partecipa a comunità virtuali in cui si discute di cibi e prodotti del Paese dei genitori. Il loro sistema relazionale? Il 92,8% ha amici italiani e l’89,4% ha amici stranieri. In casa il 57,4% parla solo l’italiano, il 23,8% solo la lingua dei genitori e il 17,6% sia l’italiano che un’altra lingua. Il 45,4% sente di essere sia italiano che straniero, il 40% si sente solo italiano e il 14,6% sente di appartenere al Paese di origine.
Siamo culturalmente preparati al salto d’epoca? Leggendo il Rapporto Censis 2024 parrebbe di no. L’impreparazione culturale e scolastica è alta. Il 49,7% degli italiani non sa l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% ignora chi sia Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica). Per il 32,4% Giotto o Leonardo hanno dipinto la Cappella Sistina, per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore della Divina Commedia.
Mentre si discute di egemonia culturale, per molti italiani si pone invece il problema di una cittadinanza culturale ancora di là da venire. Del resto, per il 5,8% il “culturista” è una persona di cultura. Nel limbo dell’ignoranza possono attecchire stereotipi e pregiudizi. Per il 20,9% degli italiani gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia. Per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma).
Per l’85,5% degli italiani la scala sociale è bloccata. Dal 2000 al 2023 il reddito pro-capite si è ridotto del 7,0%. E nell’ultimo decennio anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. Nonostante i segnali non incoraggianti del Pil, gli occupati sono stabili, 23.878.000 nei primi sei mesi dell’anno. Ma la distanza tra tasso di occupazione italiano (ultimo in Europa) e quello europeo è di 8,9 punti percentuali in meno. Se il tasso italiano si allineasse a quello europeo, ci sarebbero tre milioni di forze di lavoro aggiuntive.
Si potrebbe così colmare il divario di lavoro in alcuni settori, in particolare di specialisti e tecnici della salute quasi introvabili. Il ridotto numero di candidati riguarda ben il 70,7% della domanda di lavoro per infermieri e ostetrici, il 66,8% per i farmacisti e il 64,0% delle posizioni aperte per il personale medico. Male anche per ristorazione e turismo: mancano cuochi e camerieri. Troppo pochi persino idraulici ed elettricisti.
Tra il 2013 e il 2023 si è registrato un aumento del 23,0% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Ssn era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era troppo alto. Il 53,8% ha fatto ricorso ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie.
Sul fronte previdenziale, il 75,7% pensa che non avrà una pensione adeguata quando lascerà il lavoro. In particolare, è l’89,8% dei giovani ad avere questa certezza.
Una seconda sfida futura è legata al quadro demografico. Si profila infatti all’orizzonte un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza. Uno degli effetti nascosti della denatalità che da molti anni preoccupa il Paese è che, a causa della prolungata flessione delle nascite, il numero degli eredi si riduce. Quindi, in prospettiva le eredità si concentrano. Oggi le famiglie della generazione silenziosa (i nati prima della Seconda guerra mondiale) e del baby boom (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60) possiedono il 58,3% della ricchezza delle famiglie.
Dall’altra parte, in attesa, ci sono la generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980), i millennial e l’ultimissima generazione Z. Quale sarà l’effetto psicologico su coloro che sanno di essere destinatari di un atto di successione? Forse una ridotta propensione al rischio imprenditoriale, compressa dalle aspettative dei potenziali rentier. Con inevitabili conseguenze in termini di rallentamento della crescita.
Leggendo solo i “titoli” del Rapporto verrebbe da dire, con una battuta, che il nostro Paese più che galleggiamento rischi seriamente l’affogamento. A ciascuno le conclusioni!
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