Il Celeste Impero è fra noi
Va dal 1045 a.C., con la nascita della dinastia Zhiou e si conclude nel 23 della nostra era, con la fine del cosiddetto Primo Impero la rassegna che, alle Scuderie del Quirinale, percorre circa mille anni in cui una civiltà straordinaria vede la luce, si consolida attraverso incontri-scontri con altre culture. Fino a dar vita ad un impero che per oltre ventun secoli è stato un mondo di cultura raffinata, di struttura amministrativa capillare: una civiltà grandiosa, di cui conosciamo ancora troppo poco. È perciò un entrare in punta di piedi nella rassegna che l’allestimento di Luca Ronconi e di Margherita Palli ha soffuso di una atmosfera misteriosa, con la predilezione per le tinte scure e l’esposizione dei reperti in teche che sanno di velario. La giada, l’oro, il bronzo, la terracotta costituiscono i materiali con cui sono forgiate le suppellettili, i monili, le lacche, le statue: documenti di sensibilità decorativa estrema, ma anche di forte impatto fisico, a denotare l’energia di una civiltà dominatrice che attraverso i suoi nobili, i suoi burocrati, i guerrieri ha influenzato l’immenso continente asiatico, espan- dendosi – allora come ora – fino a quasi volerlo conquistare pienamente. Questo senso orgoglioso di dominio e di superiorità morale emerge con chiarezza da alcuni dei pezzi esposti, in particolare dalle statue. La coppia di statue d’argilla, di altezza superiore al naturale, trovate solo sei anni fa e risalenti alla dinastia Qin (221- 206 a.C.) rappresentano due funzionari civili. Vestiti dei loro abiti da cerimonia, con una espressione tra l’energico e l’impassibile, i due personaggi rappresentano un mondo sicuro di sé, gerarchicamente fondato. Così come lo sono i ginnasti o i militi dello stesso periodo, bloccati nelle loro pose: ricordano i ritratti del tardo Impero romano, in cui l’espressività è come rappresa dal simbolo: sono figure che paiono non avere un’anima propria, tanto vivono in un cerimoniale che trascende la realtà concreta, incutendo onore e rispetto per ciò che rappresenta. Sono quindi segni di una concezione della vita che comprende un deciso riferimento alla trascendenza che guida i destini della storia, anche tramite i regnanti e i loro funzionari. Di qui, la ieraticità che sublima il dato reale. L’Auriga e i due militi, anch’essi della dinastia Qin, immobili a guidare il carro, mantengono un sorriso indefinito a fior di labbra: dice sicurezza di sé e senso metastorico dell’esistenza. È questo un topos dell’arte antica, se lo si ritrova nelle civiltà mediterranee, come il mondo greco, da cui passerà nelle raffigurazioni imperiali romane. Un esempio: i cavalli bronzei della veneziana San Marco, provenienti da Costantinopoli, ove formavano un gruppo guidato dall’Imperatore- Sole, il quale, prediletto dagli dei e loro rappresentante, finisce con l’identificarsi con la divinità nelle civiltà antiche. Non è forse celeste anche l’impero cinese? Perciò le tombe dei principi si arricchiscono di corredi funebri imponenti. Le oltre 150 statue, alte anche 70 cm., raffiguranti animali domestici, cavalli, fanti e soldati a cavallo ritrovate nei pressi dei mausolei imperiali del primo imperatore della dinastia Han, Gaozu (206-195 a.C.) e del quarto Jingdi (157-141 a.C.), accanto alla precisa caratterizzazione fisionomica – che illustra un crogiolo di etnie – sfilano, in modo per noi impressionante, con il sorriso di chi è al servizio dell’imperatore figlio del Cielo. Difficilmente troveremmo qualcosa di simile nelle raffigurazioni romane, dove le celebrazioni sacre sono soltanto momenti accanto alla costante esaltazione della guerra, della lotta e della conquista di cui gli altri sono strumenti, e nulla più. Ma se l’Impero cinese si autoesalta con le raffigurazioni del suo mondo, sa nello stesso tempo vivere di una raffinatezza incredibile. La collanapettorale del sec. IX a.C. in giada e altro materiale prezioso, che si snoda in un intreccio volutamente simbolico, il supporto a forma di animale fantastico (V sec. A.C.), il meraviglioso cervo – dai rami autentici – in legno laccato, della stessa epoca, denotano uno stile di vita che conosce la realtà, ma la sa trasfigurare con la fantasia, creando l’opera d’arte. Con l’amore per il dettaglio e la puntigliosità tecnica che li contraddistingue, gli artigiani-artisti dell’Impero ne danno così una visione meno cerimoniale e più quotidiana. Restando tuttavia coerenti con quel pensiero sotteso a tutto ciò che l’Impero desidera essere e manifestare ai popoli che incontra nel suo cammino di espansione irrefrenabile: la coscienza della propria superiorità culturale che gli permette di unire astrazione e realismo, arte e amministrazione, guerra e religione. Dentro e fuori dai confini della Grande Muraglia.