Il cavaliere dal cappello bianco

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Calunnie o verità? È ben noto che George W. Bush e vari suoi collaboratori vengono dal mondo del petrolio e che gli interessi di questo mondo vengono tenuti ben presenti: Bush non ha sottoscritto il Protocollo di Kyoto, ha permesso che zone vergini dell’Alaska vengano attraversate da oleodotti, e, pur stanziando fondi per la ricerca sull’automobile ad idrogeno, si è però schierato contro le leggi della California volte a ridurre i consumi delle vetture tradizionali. Fatti però ben distanti dall’accusa che gli viene adesso rivolta di voler sacrificare due/tremila soldati americani (l’ipotesi più ottimistica in caso di attacco di terra) per favorire interessi economici dei suoi sostenitori: sarebbe assolutamente impensabile che un presidente sano di mente della prima nazione del mondo agisca per tali ragioni. Pochi però sono disposti a credere a Bush quando sostiene che questa per mantenerlo, combattendo i regimi autoritari che si erano affermati in nazioni in cui i cittadini avevano posposto la democrazia al nazionalismo ed alla illusoria sicurezza che i regimi totalitari promettono. È il mito classico dei film western: il cavaliere dal cappello bianco che da solo affronta i prepotenti, mentre banchieri e commercianti stanno a vedere nascosti dietro le imposte. Ma può Saddam mettere a rischio la way of life americana? Non certo con le “armi di distruzione di massa” che probabilmente nasconde, ma che non si vede perché dovrebbe usare; e neppure domani con una eventuale bomba atomica, visto che molti paesi suoi vicini ne avrebbero ben più di una da fargli piovere addosso. Il vero problema è che l’Iraq galleggia al centro di un lago di petrolio che costituisce buona parte delle riserve mondiali: oggi gli Usa e l’Europa potrebbero fare a meno del petrolio di uno silo dei paesi dell’area (Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita), non potrebbero fare a meno del petrolio di due, e tanto meno di tutti i paesi di quell’area. Non sarebbe quindi necessario che Saddam invadesse altri paesi, basterebbe che venisse rovesciata la monarchia saudita e si formasse un blocco di governi ostili al governo americano, se non altro per la insoluta questione palestinese. Un simile evento farebbe schizzare il prezzo del petrolio ad 80 $ al barile, mettendo in ginocchio l’economia dell’occidente. Quando questo succedesse, non sarebbe facile per nessuno giustificare una guerra fatta appositamente per riportare il prezzo del petrolio a livelli sostenibili. Se invece un domani, con l’Iraq occupato, il rubinetto del petrolio fosse in mano americana, almeno per qualche anno il prezzo del petrolio potrebbe essere mantenuto a 15 dollari al barile anziché agli attuali 35, livello al quale è salito da 25 dollari proprio per i venti di guerra. Il petrolio a 15 $ sarebbe un espediente utile a ridare fiato alla ripresa dell’economia ed alla risalita dei valori di borsa crollati negli ultimi anni. Il modo di ragionare del governo americano sembra però valido solo per l’interesse immediato del proprio paese: la Russia e tanti paesi del Terzo mondo che esportano petrolio per finanziare il loro sviluppo non sarebbero proprio contenti di un prezzo così basso, che tra l’altro ne scoraggerebbe la ricerca, ritardando pure l’introduzione delle energie alternative. Neppure l’Europa condivide pienamente il ragionamento del governo americano. E non penso per motivi di interesse delle sue aziende petrolifere che potrebbero comunque mettersi d’accordo con quelle americane, ma forse perché è più vicina al Medio Oriente, e si rende maggiormente conto che una ripresa economica duratura non si ottiene affollando solamente di consumatori i grandi magazzini del mondo occidentale: essa deve basarsi su una crescita generalizzata, non solo nel nord del mondo. Esiste infatti anche il resto del mondo: non si può pensare di dimenticarlo o annientarlo. A questo punto, esistono vie alternative, meno sbrigative ma realmente percorribili, anche per far ricresce l’economia? Quella contro Saddam è l’unica battaglia che il cavaliere con il cappello bianco potrebbe vincere? Ormai per fermare Bush senza che questo appaia una sconfitta del governo americano, occorrerebbe una aperta rinuncia dell’Iraq alle armi di distruzione di massa: essa toglierebbe l’alibi per quella occupazione americana del territorio iracheno che potrebbe innescare ulteriori conflitti e rinfocolare il terrorismo. Alternative concrete per eliminare l’incubo del caro petrolio ci sarebbero: esse però potrebbero delinearsi solo mettendo come obiettivo primario il bene comune ed una maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale, in un’ottica planetaria. Percorrendo queste vie alternative, anche il sistema di vita americano potrebbe non soffrirne, anzi si imporrebbe ancor più come faro di civiltà. Per togliere il cappio del petrolio, una delle vie più immediate potrebbe consistere nel ridurre, soprattutto negli Usa, ma anche da noi, il consumo di petrolio nel settore dei trasporti, senza ridurre gli stessi, seguendo la strada intrapresa dalla California, lo stato che è dieci anni più avanti del resto del mondo. Lì si sta rapidamente diffondendo l’utilizzo di macchine ibride, che consumano poco, e si è varata una legge che obbliga ogni nuovo modello di automezzo ad un consumo dimezzato rispetto ai modelli precedenti. Un vero cambio di mentalità: non più consumare senza inquinare, ma consumare meno perché pure altri possano farlo, tenendo presente anche l’effetto serra. Se in cinque anni gli Usa rinnovassero il parco macchine con i criteri californiani, le aziende automobilistiche uscirebbero dalla crisi, con grande effetto di traino sull’economia intera, e gli Usa potrebbero fare a meno del petrolio del Medio Oriente, superando anche la futura prospettiva di dover competere per esso con India e Cina. Per una battaglia del genere, a cui ne dovrebbero seguire altre per incoraggiare nuove forme di cooperazione internazionale allo sviluppo, gli Usa ed anche l’Europa avrebbero tutte le armi tecnologiche necessarie. Il vincere tali battaglie farebbe di George W. Bush un grande presidente, capace di lasciare un segno positivo nella storia del mondo.

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