Il “castello esteriore”. Genesi e contesto storico

Le origini di quello che potremmo considerare l’apice della via spirituale che Chiara Lubich propone nella spiritualità dell’unità. Il momento storico che coincide con il percorso di approvazione del Movimento dei Focolari da parte della Chiesa. Il rapporto con il “castello interiore” di santa Teresa di Gesù.
Castello esteriore

La spiritualità di santa Teresa di Gesù ha come vertice l’unione con “sua Maestà” nel recinto più intimo che la mistica spagnola definisce come il “castello interiore” dell’anima.

Chiara Lubich, agli inizi degli anni ’60, rimane affascinata dalla radicalità di Teresa e dalla coincidenza dei frutti, da lei osservati nella vita delle persone che vivono la spiritualità dell’unità, con gli effetti, descritti da Teresa, che si producono nell’anima all’entrata nel “castello interiore” e poi nel cammino verso le dimore più interne.

 

La fondatrice del Movimento dei Focolari, consapevole della specificità della propria strada, che tende all’unione con Gesù presente tra coloro i quali vivono uniti nel suo nome – secondo Mt 18, 20 –, definisce il culmine della sua esperienza come la costruzione del “castello esteriore”, fino alla piena unità coi fratelli nella realtà del Corpo mistico di Cristo, nel quale tutti vengono innestati.

 

 

Nell’esperienza spirituale della “costruzione” del “castello esteriore” il centro dell’interiorità dell’individuo si muove all’interno dell’interiorità di Dio stesso, che si raggiunge solo attraverso la kenosi del proprio io che esce da sé verso il fratello.

Nel momento in cui il fratello corrisponde a questo movimento d’amore, dando vita alla reciprocità, si stabilisce tra i due la presenza di Gesù. Ed è proprio nella “interiorità” dello stesso Gesù dove le due anime stabiliscono la loro dimora. Si tende, in qualche modo, a vivere sulla terra secondo lo stile della Trinità[1].

 

Una novità nella storia della spiritualità

 

Risale all’8 novembre 1950 lo scritto di Chiara Lubich in cui appare per la prima volta il termine “castello esteriore”: “È mirabile il disegno di Dio: questo Regno dei cieli, questo Castello esteriore in cui Dio è fra noi[2].

Secondo J. Castellano Cervera il termine “‘castello esteriore’ è un’espressione completamente nuova nella storia della spiritualità cristiana; senza dubbio fa riferimento al ‘Castello interiore’ di Santa Teresa, ma porta con sé una novità che nasce dall’esperienza collettiva della spiritualità dell’unità, vissuta da Chiara e tutta l’Opera di Maria[3].

A questo riguardo Chiara stessa scrive alcuni anni dopo, commentando il suo testo: “Qui… già compare l’idea del castello esteriore, come a prefigurare la realtà dell’Opera, dove Cristo è presente e la illumina in tutte le sue parti. Probabilmente allora già conoscevo qualcosa sulla dottrina del ‘Castello interiore’ di Santa Teresa d’Avila, ma qui non intendo fare nessun confronto con essa[iv].

 

Da quanto detto si possono dedurre due cose. Innanzitutto la novità assoluta dell’immagine del “castello esteriore” nel linguaggio della spiritualità. La seconda: quando l’espressione affiora per la prima volta nel 1950, nonostante la coincidenza del termine “castello”, Chiara non aveva in mente la terminologia di santa Teresa e neppure l’intenzione di imitarla.

Conviene qui ricordare che l’arco di tempo compreso tra il 1949 e il 1951 rappresenta un periodo del tutto particolare e decisivo nella configurazione della spiritualità dell’unità, a causa della straordinaria e luminosa esperienza mistica collettiva vissuta allora da Chiara e dal primo gruppo di focolarine e focolarini[5].

 

Chiara prende coscienza che Dio ha depositato in lei un carisma che rappresenta un’autentica novità nella spiritualità della Chiesa, e che lo Spirito Santo le ha fatto un simile dono, non solo per i membri del Movimento, ma anche per dare uno specifico contributo al rinnovamento della spiritualità cristiana e della società. Molti anni dopo il Magistero riconoscerà questo dono, proponendo alla Chiesa e all’umanità la “spiritualità di comunione”.

 

Nel testo che segue è chiaramente espresso quanto si è appena detto: “Santa Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, parla di un ‘castello interiore’: la realtà dell’anima abitata al centro da Sua Maestà, da scoprire e illuminare tutto durante la vita superando le varie prove. E questo è un culmine di santità in una via prevalentemente individuale, anche se poi lei trascinava in quest’esperienza tutte le sue figliole.

Ma è venuto il momento, almeno questa è la nostra vocazione, di scoprire, illuminare, edificare, oltre il castello ‘interiore’, anche il castello ‘esteriore’.

Noi vediamo tutto il Movimento come un castello esteriore, dove Cristo è presente e illumina ogni parte di esso, dal centro alla periferia.

E se pensiamo che questa nuova spiritualità che Dio dona oggi alla Chiesa arriva anche a responsabili della società e della Chiesa, comprendiamo subito che questo carisma non fa solo dell’Opera nostra un castello esteriore, ma tende a farlo del corpo sociale ed ecclesiale[6].

 

Fin qui il senso che possiamo dare al testo del 1950 e alla nota posteriore di Chiara, nella quale ipotizza una sua previa conoscenza della dottrina del “castello interiore” di santa Teresa. In realtà Chiara incontrerà profondamente gli scritti di Teresa solo nel 1961.

 

L’incontro con santa Teresa

 

Nella primavera di quell’anno, Chiara aveva previsto un lungo viaggio in America per visitare tutte le comunità presenti nel Nuovo Continente, ormai fiorite dagli Stati Uniti fino all’Argentina. Tuttavia, inaspettati problemi di salute ostacolarono la realizzazione di quel progetto, almeno nella sua totalità. Si decise di accorciare il viaggio: Chiara avrebbe visitato unicamente i membri del Movimento dell’America meridionale.

 

Quando arrivò il momento di partire, Bruna Tomasi, una delle prime compagne di Chiara, le regalò un volume con le opere complete di santa Teresa, affinché potesse leggerlo durante il viaggio. Cosa che avvenne durante il ritorno. Chiara stessa ci racconta gli effetti che quella lettura produsse in lei: “… l’esperienza per me è stata grandiosa, proprio… ho trovato di meraviglioso questo: che andando per la nostra strada, che sembra l’opposta, invece che chiuse dentro come in clausura stretta… come sono loro, buttati in mezzo al mondo… in mezzo a tutti i pericoli, in mezzo a tutte le cose, ho visto, per quel poco che conosco nelle anime di alcune e di alcuni… che gli effetti dell’unione con Dio sono identici, in un modo spaventosamente identici.

E questo m’ha fatto due effetti: uno, avere un senso del mio ideale come non l’ho mai avuto, e tanto che dicevo ai nostri: due cose mi confermano che l’Opera [di Maria, ndr] è di Dio, prima che la Chiesa non l’ha ancora sciolta e quindi c’è la speranza che dica chiaramente che è Opera di Dio; secondo s. Teresa d’Avila. Perché è troppo evidente… l’identità degli effetti, non delle cause, perché le cause sono diverse: noi in mezzo al mondo, gli altri chiusi. Troppo evidente. E questo ci conferma che siamo sulla via di Dio[7].

 

Dieci anni dopo, nel 1971, in occasione di un incontro ecumenico cattolico-ortodosso, Chiara racconta di nuovo questa esperienza, aggiungendo qualche particolare importante: “Nell’anno 1961… leggendo i libri spirituali della grande contemplativa spagnola Teresa d’Avila, abbiamo potuto imparare che la vita dell’anima passa, come la vita del corpo, attraverso diverse età, diverse tappe con caratteristiche particolari, con prove da parte di Dio ben precise, e con effetti tipici dopo il superamento di ogni prova.

Ebbene, con grande sorpresa e meraviglia, conoscendo la via spirituale dei membri del Movimento, abbiamo osservato come anch’essi, vivendo la spiritualità evangelica dell’unità, attraversassero le medesime tappe, prove analoghe e sperimentassero effetti spesso identici a quelli descritti da Teresa d’Avila. Pur essendo la nostra una via che si realizza in mezzo al mondo e quella di Teresa in un convento, la crescita della vita dell’anima era analoga. Questa constatazione, comunque, ci meravigliò, ci riempì di gratitudine e ci spinse a continuare con impegno crescente la strada che stavamo percorrendo[8].

 

Entrambi i testi sono di un’importanza fondamentale per poter capire correttamente quello che la lettura degli scritti di santa Teresa produsse in Chiara.

Solo nel primo appare il riferimento all’approvazione dell’Opera di Maria da parte della Chiesa: “due cose mi confermano che l’Opera è di Dio, la prima che la Chiesa non l’ha dissolta ancora e c’è pertanto speranza che dica chiaramente che è Opera di Dio”.

Su questo punto conviene fermarci, perché esso ci offre il contesto e la chiave di lettura per comprendere meglio la “esultanza” di Chiara.

 

Il Movimento dei Focolari negli anni 1961-1962

 

Nel 1961 il Movimento attraversava un momento molto delicato. Sembrava imminente la pubblicazione del decreto di scioglimento da parte della Chiesa. Durante gli anni cinquanta, molti vescovi italiani avevano dimostrato delle perplessità sulla retta dottrina del Movimento: si parlava di “unità” e si mettevano i beni in comune, e questo sfiorava la dottrina comunista; si parlava delle Sacre Scritture, e questo li rendeva sospettosi di una tendenza “filo-protestante”. E poi il quel rapporto così stretto tra uomini e donne, nella loro maggioranza ancora abbastanza giovani, provocava i logici pettegolezzi…

 

In definitiva, il Movimento nascente “usciva dai canoni tradizionali delle associazioni laicali e, per la sua novità, suscitava non poche preoccupazioni pastorali e dottrinali in alcuni prelati[ix]. Per questo motivo, in diverse occasioni Chiara era stata chiamata dal Sant’Uffizio (oggi Congregazione della dottrina della fede), per rispondere a quelle accuse. Come pure era stato presentato tanto a Pio XII come a Giovanni XXIII il decreto di scioglimento, ma sempre l’uno e l’altro pontefice si erano rifiutati di firmarlo e avevano incoraggiato a insistere nello studio del Movimento e della sua dottrina.

Chi mantenne in ogni momento una fiducia assoluta in Chiara e nel Movimento fu l’arcivescovo di Trento, mons. Carlo De Ferrari, il quale – disgustato delle accuse contro i “focolari” che gli arrivavano – pubblicò il 12 settembre 1956 una dichiarazione al riguardo che, come possiamo leggere di seguito, era da parte sua evidentemente definitiva: “A Chiunque! Quello che io penso dei focolari è presto detto. Li ho visti nascere nella mia diocesi e li ho sempre considerati un’accolta eccezionale di anime belle, che con la loro vita sotto ogni riguardo edificante, col loro spirito genuino di carità, col loro ardente apostolato, offrono la prova provata che in questo povero mondo ‘avviato a rovina’ ci sono ancora cristiani capaci di conquistare le più ardue vette della virtù, le più avanzate trincee del bene.

Da 12 anni li seguo, vigile e attento, e non solo non ho mai trovato motivo di biasimo, ma sempre motivo, il più ampio e pieno, di conforto e di gioia, come raramente mi è avvenuto in oltre 50 anni di ministero pastorale. L’ho detto, l’ho scritto altra volta e lo ripeto: fossero legione i focolarini![10].

 

Il tono usato da mons. De Ferrari fa intuire fino a che punto arrivarono il numero ed il contenuto delle accuse e denunce contro il Movimento.

In ogni caso, pur riconoscendo l’immenso dolore di questa situazione, che si prolungò per più di un decennio, sorprende come Chiara abbia considerato sempre quegli anni come un “periodo benedetto”. E come la sua fiducia nella Chiesa fosse stata sempre assoluta, fino al punto che “in più occasioni è arrivata a dire ai più intimi che se si fosse arrivato a dissolvere il Movimento, tutti avrebbero obbedito quella decisione[11].

 

Questo atteggiamento di Chiara, logicamente, non può essere altro che frutto di uno sguardo soprannaturale sugli avvenimenti che le viene dalla passione che brucia nel suo cuore per Colui che Chiara ha scelto come unico sposo della sua anima e che glieli fa vedere “con gli occhi di Dio”: “Fu un tempo di grandi prove per tutti noi… Prima dell’approvazione ufficiale del papa attraversammo un periodo di sospensione, incertezza e abbandono. Ma alcuni fattori hanno caratterizzato quegli anni. Anzitutto un appassionato amore per Gesù crocifisso e abbandonato, che ci ha sorretto sempre. L’avevamo scelto, ora si presentava in grande stile. È stata l’occasione per dimostrargli il nostro sincero amore. Poi una fede così forte nella maternità della Chiesa che non poteva venire se non dall’Alto. E infine è stata un’epoca di frutti straordinari.

In quegli anni il Movimento, già diffuso in Europa, ha cominciato ad espandersi negli altri continenti. Allora è iniziato il suo lavoro ecumenico. È stato in quel tempo che ha potuto penetrare oltre l’ex cortina di ferro per aiutare la Chiesa nell’Europa dell’Est. Un periodo, dunque, benedetto, strabenedetto: ‘Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto’ (Gv 12, 24)[12].

 

I frutti di un parto

 

Ora possiamo capire il gaudio di Chiara quando, proprio nel momento più doloroso, scopre negli scritti di una santa della categoria di Teresa d’Avila, venerata dalla Chiesa come una delle sue figlie predilette, che i frutti prodotti nell’anima di coloro i quali si addentrano nelle differenti dimore del “castello interiore” erano “identici” a quelli che sperimentavano coloro i quali seguivano la via evangelica della spiritualità dell’unità.

 

Fu così forte questa esperienza che, dall’estate del 1961 fino all’estate del 1962, non ci fu praticamente tema o conversazione in cui Chiara non parlasse di santa Teresa e del “castello esteriore”. Perché, se si manifestavano frutti di santità, non c’era dubbio allora che il Movimento fosse opera di Dio e che, presto o tardi, la Chiesa, che è madre, avrebbe riconosciuto in esso un figlio del suo seno.

 

Parlando nuovamente di quel periodo di “prova”, Chiara fa un altro accenno a santa Teresa: “Il periodo che segue si può paragonare ad un susseguirsi di dolori, simili a quelli che precedono la nascita d’una creatura, echi parziali del grido di Gesù. Ci è stato di conforto in quel tempo conoscere a fondo santa Teresa d’Avila. Prima dell’approvazione della sua Opera, il Signore aveva permesso che temesse molte volte della soppressione di essa. E quando arrivò la notizia dell’approvazione – dice la storia –, la santa parve ringiovanita di molto. Così per noi. Quei dolori avevano sempre un unico motivo di fondo: il timore per lo scioglimento dell’Opera. Ciò avrebbe dovuto convincere la nostra mente e il nostro cuore che la nostra non era Opera di Dio, ma opera umana: esattamente come Gesù, che nell’abbandono appare solo uomo. Ma come avremmo potuto pensarlo? Gesù era morto, però era anche risorto. Ma intanto si soffriva[13].

 

Il 23 marzo 1962 Giovanni XXIII approvava ufficialmente e pubblicamente il Movimento dei Focolari. Le parole che seguono rivelano ancora di più l’atteggiamento d’anima con cui Chiara visse tutte quelle circostanze: “Dio guidava la Chiesa e la illuminava a non lasciarci nell’abbandono. Egli era stato il fondatore e l’architetto della meravigliosa Opera che doveva nascere, e l’aveva alimentata del suo Spirito, era stata forgiata unicamente da Lui. E quando l’ha vista bella, quando l’ha vista compiuta nelle sue parti essenziali, è venuta l’ora della nascita, il 23 marzo del 1962, non senza il dolore che essa comporta[14].

 

Una nuova via di santità

 

Una volta spiegato il contesto storico del Movimento negli anni 1961-1962, soffermiamoci brevemente su quella “spaventosa” identità di effetti spirituali a cui Chiara faceva riferimento.

Innanzitutto, nonostante si dia quell’identità, le strade percorse da una e dall’altra spiritualità sono completamente diverse, anzi, sembrano “opposte”: quella di santa Teresa esige “clausura stretta”, mentre quella di Chiara richiede di essere “buttati” in mezzo al mondo.

 

Potrebbe sembrare quindi che l’iter proposto dalla spiritualità dell’unità, lanciandosi in mezzo agli uomini, eviti di cercare l’unione con Dio a cui conduce la strada contemplativa di santa Teresa. Tuttavia, se leggiamo il seguente pensiero spirituale di Chiara, l’apparente dissonanza è risolta:

 

Ecco la grande attrattiva

del tempo moderno:

penetrare nella più alta contemplazione

e rimanere mescolati fra tutti,

uomo accanto a uomo.

Vorrei dire di più: perdersi nella folla,

per informarla del divino,

come s’inzuppa

un frusto di pane nel vino.

Vorrei dire di più:

fatti partecipi dei disegni di Dio

sull’umanità,

segnare sulla folla ricami di luce

e, nel contempo, dividere col prossimo

l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie.

Perché l’attrattiva

del nostro, come di tutti i tempi,

è ciò che di più umano e di più divino

si possa pensare,

Gesù e Maria:

il Verbo di Dio, figlio di un falegname;

la Sede della Sapienza, madre di casa[15].

 

In questa meditazione Chiara spiega molto bene due cose. La prima è che la sua vocazione, come quella di santa Teresa, cerca non solo la contemplazione, ma la “più alta contemplazione”, quella di Gesù e quella di Maria. La seconda, che il suo incontro con Dio si deve realizzare “gomito a gomito con gli uomini”, cioè, in mezzo alla gente, anzi, “nella folla”, per fare in modo che questa rimanga “inzuppata” di quel “divino” in cui si vuole penetrare e vivere, essendo partecipe di tutte le realtà umane in cui il prossimo si trovi sommerso: “onta, fame, percosse, le brevi gioie”, proiettando su di esse la luce che fa vedere da Dio tutte quelle realtà.

 

Potremmo trovare qui un parallelismo tra la cristologia soteriologica e quanto Chiara si sente chiamata a realizzare. Il Verbo si abbassò alla nostra condizione umana spogliandosi della sua condizione “divina” (cf. Fil 2, 5-11), come dice san Paolo, per elevare l’umanità alla sua stessa condizione: la divinità (cf. Gv 1, 12). Chiara, sentendosi con coloro che seguono la sua strada “partecipe del disegno di Dio sull’umanità”, vuole condividere tutte le realtà umane, preferendo le più dure e dolorose, affinché tutti gli uomini condividano con lei la realtà divina che le inonda l’anima.

E così, Chiara osservò che “la crescita della vita dell’anima era analoga” in ambedue le strade: “le medesime tappe”, “prove analoghe”, “effetti spesso identici”.

 

Pertanto, ciò che santa Teresa offre a Chiara non è una strada spirituale da seguire, bensì la coscienza che la sua strada spirituale produce effetti di santità, è una strada che porta alla santità. In una conversazione con alcuni membri del Movimento dei Focolari nel 1961, Chiara dice: “A noi santa Teresa è servita proprio per svelarci la nostra strada come via di santità. Quindi… ci ha spinti a camminare nella nostra strada e l’ha fatto attraverso la vita con quelle famose acque che son gradini sempre più intensi di amor di Dio… dove noi abbiamo capito…che certe esperienze, qualcuno anche le ha provate[16].

 

Si capiscono allora le parole piene di riconoscenza per santa Teresa che Chiara ha scritto nel “libro d’oro” del Monastero dell’Incarnazione d’Avila, in occasione della sua visita nel 2002: “Grazie S. Teresa di tutto quanto hai fatto per noi durante la nostra storia. Grazie! Ma il più bel grazie te lo diremo in Paradiso. Continua a vegliare su tutti noi, sul nostro ‘Castello esteriore’ che lo Sposo ha suscitato sulla terra a completamento del tuo ‘Castello interiore’ per far la Chiesa bella come la desideravi. Arrivederci S. Teresa. Abbracciandoti, Chiara[18].

 

Adesso sicuramente Chiara le avrà potuto dire ormai “il più bel grazie” e ambedue si troveranno ad abitare insieme lo stesso unico Castello: il seno della Trinità.



[1] Bibliografia: J. Castellano Cervera, Dal “castello interiore” al “castello esteriore”, in Unità e Carismi 2 (2005) 10-16; G.M. Zanghì, Il castello esteriore in Nuova Umanità 3-4 (2004) 371-376.

[2] Cit. da J. Castellano Cervera, op.cit., p. 10.

[3] Ibid.

[4] Inedito.

[5] Cf. C. Lubich, Paradiso ‘49, in Nuova Umanità 3 (2008) 285-296.

[6] Id., Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma 2002, pp. 28-29.

[7] Id., Inedito, pro manuscripto della trascrizione della registrazione (Grottaferrata, 29.8.1961).

[8] Id., Cristo dispiegato nei secoli. Testi scelti, cit., Roma 1994, p. 195.

[9] E.M. Fondi – M. Zanzucchi, Un popolo nato dal Vangelo. Chiara Lubich e i Focolari, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (Milano) 2003, p. 96.

[10] C. Lubich, Il grido, cit., p. 60.

[11] E.M. Fondi – M. Zanzucchi, op. cit., p. 99.

[12] J. Gallagher, Chiara Lubich. Dialogo e profezia, cit., pp. 95-96.

[13] C. Lubich, Il grido, cit., p. 76.

[14] Ibid., p. 79.

[15] Id., Scritti Spirituali/1, cit.,p. 27.

[16] Id., Inedito, pro manuscripto della trascrizione della registrazione (Grottaferrata, 7 dicembre 1961), p. 3.

[17] AA.VV., Chiara Lubich en España. Crónica de un viaje. 26 de noviembre – 9 de diciembre de 2002, Ciudad Nueva, Madrid 2003, p. 89.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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