Il caso Spotlight
Il caso Spotlihgt
La redazione del Boston Globe, anno 2001, inizia una indagine sugli abusi sessuali di alcuni preti cittadini ai danni dei minori. La verità viene alla luce, ma faticosamente, perché da ogni parte si cerca di coprirla, ritardarla, evitarla. Non ci fa bella figura né la chiesa, né il giornalismo, né la società. Film corale, diretto con raro equilibrio da Tom McCarthy, vanta una squadra eccellente: Liev Schreiber (il misurato direttore), Mark Ruffalo (giornalista d’assalto), Michael Keaton (la diplomazia), John Slattery (l’ambiguità).
Un reticolo umano intorno ad un caso drammatico, una domanda sulla necessità di un giornalismo responsabile, senza condanne aprioristiche, libero da motivazioni ideologiche e al contempo una indagine sulla necessità di scoprire la verità. Queste le caratteristiche di un film per nulla retorico, anzi rapido, intenso e duro.
Fuocoammare
Gianfranco Rosi ha vissuto un anno a Lampedusa ed ha visto con i suoi occhi lo spettacolo dei migranti e le loro tragedie. Ne è uscito un documentario che ha avuto un grande impatto all’attuale Berlinale. Nulla che non si sapesse, nonostante i media raccontino sempre verità parziali. Rosi narra la quotidianità dell’immigrazione, affidandosi alle voci di un dj, di un pescatore, del piccolo Samuele e della nonna e soprattutto del dottor Bartolo, direttore da decenni della locale Asl, testimone di un capitolo di sofferenze e di generosità che la piccola isola mediterranea ha saputo e sa gestire Non mancano momenti dolorosi e tragici. Rosi è asciutto, osserva e racconta per tutti quella che per lui è forse la più grande tragedia dopo l’Olocausto.
Onda su onda
Dispiace che Rocco Papaleo e Alessandro Gassman non abbiamo sfruttato sino in fondo la possibilità di un duetto sfavillante in questa storiella, molto televisiva, di Ruggero, cuoco solitario su di una nave, e di Gegè, cantante fallito che cerca la rivincita in quel di Montevideo, dove incontreranno una bella organizzatrice (Luz Cipriota). Gag prevedibili, personaggi di contorno come figurine, una Montevideo da cartolina riempiono un film con ritmo alterno e una recitazione, quella di Gassman, che sembra ben poco impegnata. Risultato? Papaleo avrebbe potuto fare molto meglio, da bravo comico surreale qual è. Peccato, perché la storia di questi cinquantenni che cercano di rifarsi una vita partiva da una idea mica male.
The Danish Girl
Un prodotto raffinato, atmosfere dannunziane, nella Copenaghen Anni Venti, dove Einar Wegener (Eddie Redmayne) è un paesaggista stimato, sposato felicemente con Gerda, ritrattista eccellente (Alicia Vikander). I due si amano, si spingono in scherzi audaci, Einar scopre la propria vera sessualità e decide di diventare donna, trasformandosi in Lili mediante un intervento chirurgico. Tensione, ansie, paure, incomprensioni e dubbi, ma Gerda accetterà il marito diventato Lili e le sofferenze fisiche e psicologiche che tutto ciò comporta.
Tom Hooper dirige il mélo senza indulgere troppo sia nell’idealizzazione dei personaggi come nel versante lacrimevole, dando al racconto la connotazione del coraggio di indagare sino in fondo sé stessi, e frenando i facili ideologismi ricattatori per lo spettatore d’oggi. Straordinaria ancora una volta la capacità mimetica di Redmayne.
Ancora in sala: 50 sbavature di nero, ironica e trasgressiva presa-in-giro del fin troppo celebre lavoro erotico; Deadpool, tratto dal fumetto dell’anti-eroe della Marvel, azione e vendetta.