Il casinò finanziario

Dietro la diffusione incontrollata del gioco d’azzardo si nasconde lo strapotere della finanza. Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica nel libro Vite in gioco, oltre la slot economia (Città Nuova, 2014) ci svela i meccanismi di un sistema perverso.
Vite in gioco

La finanza dovrebbe essere uno strumento per far incontrare chi ha un risparmio con chi ha bisogno di un prestito.

Nei termini più semplici possibili, si potrebbe definire come “il mercato dei soldi”. Se voglio comprare delle mele vado al mercato, luogo di incontro tra il contadino (l’offerta) e i clienti (la domanda). In maniera analoga, le banche sono nate per raccogliere il risparmio di cittadini e famiglie e prestarlo per attività produttive. Il paragone con un mercato diventa ancora più calzante riguardo le borse valori, non a caso spesso indicate come mercati finanziari.

La loro funzione originaria è essere il luogo di incontro tra Stati e imprese che necessitano di capitali per le loro attività e i risparmiatori che hanno soldi da investire. Oggi la finanza ha in massima parte perso questo suo ruolo sociale di strumento al servizio dell’economia e dell’insieme della società, per trasformarsi in un fine in se stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile.

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Sono molti gli esempi e le cifre che si potrebbero portare per chiarire come la finanza si sia in massima parte trasformata in un gigantesco casinò dedito alla pura speculazione. Le conseguenze di una tale trasformazione sono sotto gli occhi di tutti.

L’attuale fase recessiva e le enormi difficoltà in diversi Paesi, in particolare nell’Unione Europea, discendono direttamente dalla crisi esplosa negli USA nel 2007 con la bolla dei mutui subprime e che ha rapidamente contagiato l’intero pianeta.

Le radici di tale crisi possono essere fatte risalire a molti anni addietro. Parliamo dello sviluppo di una finanza ipertrofica, del sempre maggiore indirizzamento dei capitali dai salari ai profitti e dei profitti dagli investimenti alle rendite, di una continua crescita del PIL e dei consumi assunta a dogma e finanziata tramite livelli insostenibili di indebitamento.

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Riassumendo, una finanza fuori controllo causa la crisi. Viene salvata con i soldi pubblici, ovvero con i nostri soldi, ricevendo migliaia di miliardi di dollari senza nessuna condizione o contropartita. A questo punto le difficoltà si spostano su Stati e cittadini. Vedendo queste difficoltà, lo stesso sistema finanziario attacca gli Stati più deboli per guadagnarci su.

Al culmine del paradosso, le nazioni oberate di debiti devono rivolgersi ai mercati finanziari per ottenere il finanziamento dei loro debiti pubblici. Da un lato, tutto questo sembra un gigantesco gioco delle tre carte per non riconoscere che i debiti accumulati nel sistema finanziario sono semplicemente troppi. Dall’altro, a differenza dei soldi ricevuti solo un paio di anni prima, i mercati finanziari fissano delle condizioni per riprestare i soldi agli Stati.

E sono condizioni durissime. Da un lato, alti tassi di interesse, dall’altro, condizioni molto stringenti. I mercati pretendono garanzie circa la restituzione dei debiti.

Garanzie che prendono la forma dei piani di austerità, del fiscal compact, del pareggio di bilancio nelle costituzioni e via discorrendo. Non si può spendere per il welfare, le risorse devono andare al pagamento del debito e a rimettere a posto i conti pubblici. Dobbiamo accettare i sacrifici per “restituire” fiducia ai mercati.

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In questa situazione, il singolo cittadino si trova spesso perso. Da un lato, le cifre in gioco appaiono al di fuori della realtà. Dall’altro, i meccanismi messi in campo dai soggetti finanziari sembrano estremamente complicati. È molto difficile seguire il funzionamento della finanza, quasi impossibile pensare di poter agire e intervenire in prima persona.

Nello stesso momento, gli impatti sono tali e tanti che è necessario e urgente un impegno in prima persona.

Il cambiamento deve avvenire lungo due direttrici. Da un lato, potremmo dire dall’alto, occorre un nuovo sistema di regole e di controlli per limitare lo strapotere della finanza e per evitarne i peggiori eccessi. Dall’altro, dal basso, serve un impegno diretto di tutti noi in quanto risparmiatori e clienti delle banche o di altri attori finanziari.

Sul primo versante sono molte le proposte messe in campo negli ultimi tempi da studiosi di tutto il mondo e dalle organizzazioni e reti della società civile internazionale. Diminuire la leva finanziaria, separare le banche commerciali da quelle di investimento, tassare le transazioni finanziarie, chiudere i paradisi fiscali, regolamentare i derivati, e via discorrendo.

Nella maggior parte dei casi non ci sono difficoltà tecniche. Sappiamo cosa bisognerebbe fare e come procedere.

È unicamente una questione di volontà politica, ovvero occorre superare lo scandaloso potere delle lobby finanziare che, a dispetto dei disastri combinati negli ultimi anni, continuano a opporsi a ogni forma di regolamentazione e controllo e in molti casi a procedere a una vera e propria “cattura del regolatore” in base alla quale sono gli stessi attori della finanza a scrivere le regole che riguardano il loro operato.

Accanto a queste e altre misure, è dai cittadini che deve partire un vero cambiamento. Negli ultimi anni milioni di donne e di uomini hanno iniziato a modificare i propri consumi, avviando forme di consumo critico e interrogandosi sugli impatti sociali e ambientali legati alle produzioni di beni e servizi. Da tali riflessioni si sono sviluppati movimenti che oggi hanno una grande rilevanza, anche dal punto di vista economico, come nel caso del commercio equo e solidale.

Oggi, prima ancora che in ambito economico o finanziario, occorre un cambiamento culturale. Quanti di noi presterebbero i propri soldi a chi volesse giocarseli al casinò? Quanti li darebbero a chi li volesse investire in un traffico di mine antiuomo, per quanto remunerativo?

Eppure quanti di noi domandano alla propria banca, fondo pensione o di investimento l’utilizzo che viene fatto del nostro denaro? Questo, una volta incanalato nei meccanismi finanziari internazionali può avere enormi impatti, tanto in positivo quanto in negativo, sull’economia e la società. […]

Abbiamo il diritto, e per molti versi il dovere, di chiedere alla nostra banca come intende utilizzare i nostri risparmi ed esigere una piena trasparenza. In Italia, Banca Etica pubblica sul proprio sito tutti i finanziamenti concessi a imprese, associazioni e cooperative. […]

Non si tratta unicamente di una maggiore trasparenza, della partecipazione di soci e correntisti, o dell’attenzione alle ricadute sociali e ambientali della propria attività. Anche da un punto di vista meramente economico, la finanza etica presenta un modello che appare molto più solido e resiliente nella situazione attuale.

[…]

In conclusione, per uscire dalla crisi il passo più importante deve consistere nel riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia e della società, non l’opposto come avviene oggi. Per questo è necessario il doppio approccio evidenziato in precedenza.

Da un lato, sostenere le campagne e le iniziative che mirano a regolamentare la finanza e a impedire i comportamenti più rischiosi e speculativi.

Dall’altro, evitare di essere, oltre che vittime, anche complici inconsapevoli di questo sistema. Se la nostra banca, il nostro gestore di fondi o la nostra assicurazione continua a giocare con i nostri risparmi come con le fiche di un casinò abbiamo una risposta tanto semplice quanto efficace: non con i nostri soldi.

Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica.

In Vite in gioco, oltre la slot economia, a cura di Carlo Cefaloni (Città Nuova, 2014)

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