Il carnevale più lungo del mondo

In Uruguay la festa dura quaranta giorni: si balla al ritmo dei tamburi e degli spettacoli danzanti. Una festa senza eccessi, all'insegna dell'uguaglianza sociale
carnevale uruguayano

In Uruguay, piccolo paese sudamericano, le fresche serate dell’estate australe si riempiono di musica, colori, danze e risate, tante risate. É il carnevale più lungo del mondo. La festa più sentita e amata dagli uruguayani, celebrata come un rito in scenari di quartiere (i “tablados”) e nel grande anfiteatro all’aperto del Parco Rodó, sul lungomare, comincia ai primi di febbraio e si allunga fino a quaresima inoltrata (siamo in un paese laico…). Quaranta giorni. O meglio, quaranta serate.

 

Non pensi il lettore al carnevale al quale siamo abituati. Niente costumi da Uomo Ragno, da Superman o da Hanna Montana, niente feste in maschera, insomma, né sfilate di quartiere, e ben poche stelle filanti. Per le strade di Montevideo non si vedono carri allegorici, né le grandiose scenografie e le spumeggianti coreografie sambesche del carnevale carioca.

 

Qui si balla al ritmo di centinaia di tamburi – eco di quelli distintivi delle tribú di appartenenza degli schiavi d’Africa –, si ride con i cori e gli sketch delle “murgas” e con le battute a raffica degli “humoristas” e dei “parodistas. Si applaudono a bocca aperta gli incalzanti spettacoli danzanti delle “revistas”.

 

Il “Ramón Collazo”, l’anfiteatro sede del concorso ufficiale di “gruppi carnevaleschi”, è sempre pieno. E nella fase finale, se si vuol assistere allo spettacolo, occorre precipitarsi a comprare i biglietti non appena i giornali hanno pubblicato il calendario che ripropone le performances dei gruppi che passano alla “liguilla”, la créme della qualità carnevalesca. Ma anche i tablados pullulano di gente. Qui si possono vedere in versione ridotta gli spettacoli offerti dai gruppi in concorso e da altri ancora, fra una salsiccia o un piatto di ravioli e un mate, la bevanda tipica del Rio de la Plata.

 

Perché tanto successo? Come mai gli uruguayani, tradizionalmente pacati e pessimisti, si “sbottonano” in questo modo? Occhio: non è una festa sfegatata. Tutto si svolge in ordine e tra il pubblico si vedono gioviali vecchiette, famiglie con bimbi e gruppi di giovani seduti per terra; bianchi e neri (in Uruguay sono il 9%), ricchi e poveri (il biglietto costa un paio di euro e non mancano i “tablados” gratuiti); spazzini e senatori. E persino il presidente della Repubblica, seduto tranquillamente a godersi lo spettacolo tra la gente. Tutti uguali, tutti con pari diritti. Impensabile ad altre latitudini.

 

Ma perché la festa coinvolge in questo modo? I motivi sono forse due: perché esprime l’essenza della cultura di un popolo e perché racchiude in una parentesi (lunga, ma pur sempre delimitata) lo strappo alla regola che permette di mostrarsi felici senza pudore.

Sí, perché l’uruguayano è un sudamericano molto originale. È più figlio dell’Illuminismo e del trittico della rivoluzione francese che della tradizione e del cattolicesimo spagnolo, è più europeo dei cosmopoliti e campanilisti europei di oggi, è più repubblicano, critico, serio, controllato, amante del dibattito, onesto, coerente e meno religioso, indigeno, “sanguigno” e allegro della media dei suoi vicini sudamericani.

 

  

 

 

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