Il carisma dell’unità di Chiara Lubich al servizio della comunione fra carismi antichi e nuovi
La seconda relazione è della Presidente del Movimento dei Focolari che, dopo aver ripercorso lo sviluppo storico della comunione tra carismi a partire dalla Pentecoste ‘98 e alla luce dell’impegno personale di Chiara Lubich negli ultimi anni della sua vita, presenta alcune linee fondamentali del carisma dell’unità
Ho accolto con gioia l’invito rivolto all’Opera di Maria nella mia persona a partecipare a questa giornata di comunione tra numerose espressioni carismatiche della Chiesa, in cui vediamo quasi una “expo dei frutti dello Spirito”. Sono passati dieci anni da quando Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari o Opera di Maria, ha indirizzato un auspicio profetico ai francescani radunati in questa stessa basilica: “Che il Signore voglia questa comunione anche con loro, gloria e vanto della Chiesa, affinché il suo aspetto carismatico acquisti nuovo vigore, nuovo splendore e, nell’unità piena e cordiale con quello istituzionale, dia frutti mai visti”[1]. Solo lo Spirito Santo poteva far sì che quella comunione germogliasse in una nuova fioritura, originalissima agli occhi del mondo, quella cioè di un albero con fiori e frutti diversi uno dall’altro, componenti un’unica armonia divina che affascina chi ha la grazia di contemplarla, come succede oggi a noi.
Un po’ di storia
Ma torniamo a un punto di partenza fondamentale. Il 30 maggio 1998 Giovanni Paolo II, incontrandosi per la prima volta con i movimenti e le nuove comunità ecclesiali, ha fatto vivere a tutta la Chiesa una nuova Pentecoste, manifestando il desiderio che i movimenti fossero sempre più in comunione tra loro. In quell’occasione Chiara Lubich gli fece una promessa: “Vogliamo assicurarla, Santità, che, essendo il nostro specifico carisma l’unità, ci impegneremo con tutte le nostre forze a contribuire a realizzarla pienamente”[2].
Da allora è andata crescendo tra una ventina di movimenti cattolici una comunione fatta di preghiere, di doni e di aiuti concreti. Alcuni di loro hanno creato delle segreterie apposite; si sono svolti più di 200 incontri nel mondo, sperimentando grande abbondanza di effetti: di amore per il Papa, di servizio alla Chiesa, di amore universale per tutte le Chiese.
Allorché i responsabili di movimenti di altre Chiese sono venuti a conoscenza di questa esperienza, hanno voluto essere ragguagliati e la comunione si è dilatata ancora, portando a realizzare congiuntamente grandi manifestazioni mediante il progetto di “Insieme per l’Europa”, ma anche a diffondere dovunque questo spirito di comunione e di fraternità.
Un’ulteriore fioritura: la comunione tra antichi e nuovi carismi
Sempre per attuare la promessa fatta a Giovanni Paolo II nella Pentecoste ‘98, Chiara compie un passo ulteriore: la comunione con famiglie religiose nate da carismi meno nuovi. E pone la prima pietra di questo dialogo-comunione tra le famiglie religiose come espressioni della Chiesa carismatica proprio qui, sulla tomba di san Francesco, il 26 ottobre 2000.
Chiara comunica la sua passione per l’unità: “Io ho sempre in cuore quelle ultime parole di Giovanni Paolo II quando ha definito i movimenti: ‘Significative espressioni dell’aspetto carismatico della Chiesa, anche se non le sole’” [3].
“Esistono – continuava Chiara – nella Sposa di Cristo gioielli senza numero… fucine di santi e di eroi, dottrine stupende, miracoli senza numero di bene, tutti frutti di carismi elargiti dallo Spirito Santo attraverso i secoli. Per essi, per ciò che rappresentano – e cioè, una Parola di Gesù, un suo atteggiamento o altro – per le famiglie religiose che li incarnano, la Chiesa appare ed è un ‘Cristo dispiegato nei secoli’”[4]. E Chiara concludeva: “Da ciò che è avvenuto fra noi in questi due anni si può già prevedere come potrà essere la Chiesa… se questa comunione proseguirà: sarà più una, più attraente, più calda, più familiare, più dinamica, più mariana, più carismatica”[5]. E non è questa la realtà che stiamo sperimentando insieme oggi?
Il dialogo iniziato ad Assisi è proseguito poi, anche se in forme diverse, con la famiglia benedettina a Monserrat, con i domenicani, con l’opera di Madre Teresa di Calcutta, con le piccole Sorelle di Foucauld…
Ma vorrei ricordare esplicitamente due frutti significativi che rendono testimonianza alle parole di Chiara.
Il primo: nell’assemblea dell’Unione dei Superiori Generali del novembre 2002, oltre ai rappresentanti delle curie generalizie, erano presenti 50 rappresentanti di 14 movimenti e associazioni laicali e non per parlare del rapporto tra religiosi e movimenti ma per cominciare ad affrontare insieme le grandi sfide che il III millennio apriva.
Significativa la conclusione di Alvaro Rodriguez Echeverria, superiore generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane e allora Presidente dell’Unione dei Superiori Generali: “Non si tratta di guardarci l’un l’altro, ma di guardare insieme nella stessa direzione, il che non può essere altro che il piano salvifico di Dio. Dobbiamo unire i nostri carismi per rispondere con creatività alle nuove forme di disumanizzazione, alle nuove povertà, ai richiami che ci rivolge il mondo degli esclusi”[6].
Il quotidiano cattolico L’Avvenire, riportando una frase di Valeria Ronchetti che aveva parlato in nome di Chiara Lubich sul “farsi uno, sul farsi tutto a tutti”, parlava di un’esperienza di comunione intensa e ricchissima tra carismi antichi e nuovi.
Un secondo frutto molto importante per tutta la vita consacrata, in cui è evidente l’influsso dell’esperienza di comunione vissuta tra gli istituti e i movimenti, è il riferimento esplicito che per la prima volta viene fatto nell’Istruzione Ripartire da Cristo, pubblicata proprio nello stesso anno, nel maggio 2002. Al n. 30, sotto il titolo “Comunione tra carismi antichi e nuovi”, si legge: “La comunione che i consacrati e le consacrate sono chiamati a vivere va ben oltre la propria famiglia religiosa… Aprendosi alla comunione con gli altri Istituti… possono cogliere con maggior chiarezza la bellezza della propria identità nella varietà carismatica, come tralci dell’unica vite. Dovrebbero gareggiare nella stima vicendevole (cf. Rm 12,10) per raggiungere il carisma migliore, la carità (cf. 1 Cor 12, 31)… è il bisogno di essere Chiesa, di vivere insieme l’avventura dello Spirito… imparando ad amare la comunità e la famiglia religiosa dell’altro come la propria… Dall’incontro e dalla comunione con i carismi dei movimenti ecclesiali può scaturire un reciproco arricchimento. I movimenti spesso possono offrire l’esempio di freschezza evangelica e carismatica, così come l’impulso generoso e creativo dell’ evangelizzazione. Da parte loro i movimenti… possono imparare molto dalla testimonianza… della vita consacrata, che custodisce… molteplici tesori di sapienza e di esperienza”.
Il terreno in cui è andata fiorendo sia la comunione tra i movimenti sia la comunione tra i carismi antichi e nuovi è evidentemente l’ecclesiologia di comunione del Concilio Vaticano II.
Nell’Esortazione apostolica post-sinodale Cristifideles laici, al n. 55, è scritto infatti: “Tutti gli stati di vita, sia nel loro insieme, sia ciascuno di loro in rapporto agli altri, sono al servizio della crescita della Chiesa e si coordinano dinamicamente nella sua unica missione”.
La spiritualità di comunione per una Chiesa comunione
Da quando il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa popolo di Dio, con la famosa citazione di Cipriano: “La Chiesa universale si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4) , è iniziato un lungo e fruttuoso cammino, di cui forse non abbiamo ancora colto tutta la portata.
Lo Spirito Santo ha orientato tutti verso un cammino comunitario, che riscopre la Chiesa come una famiglia di fratelli uniti dall’unico Padre, luogo della presenza della Trinità. Comunione e reciprocità sono messe in evidenza e il comandamento nuovo è colto come realtà da vivere a livello ecclesiale, in tutti gli ambienti, tra tutte le vocazioni e gli stati di vita.
Questa comunione è cresciuta nel tempo, arricchendosi di sempre nuove espressioni, di sempre più attiva vitalità. Così che ormai si sente parlare di Chiesa-comunione, ecclesiologia di comunione, spiritualità di comunione, Chiesa come “casa e scuola di comunione” (NMI 43). L’Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa sottolinea la necessità della comunione tra i carismi per un cammino di comunione nella Chiesa: “Perché la comunione nella Chiesa possa essere vissuta in modo più pieno, occorre valorizzare la varietà dei carismi e delle vocazioni, che convergono sempre più verso l’unità e la possono arricchire (cf. 1 Cor 12)” (n. 29).
E Giovanni Paolo II propone la “spiritualità di comunione” per attuare quanto lo Spirito ha suggerito alla Chiesa nel Concilio per realizzare il suo essere ad immagine della Trinità e la sua missione di testimone dell’unità nel mondo. Lo ricorda nel suo messaggio ai partecipanti ad un incontro per vescovi amici del Movimento dei Focolari: “Nel passaggio storico che stiamo vivendo è di fronte a noi un’impegnativa missione: fare della Chiesa il luogo dove si vive e la scuola dove si insegna il mistero dell’amore divino. Come sarà possibile questo senza riscoprire un’autentica spiritualità della comunione?”[7].
Risulta evidente il contributo che il Movimento può dare alla realizzazione concreta della comunione tra tutte le realtà ecclesiali. Molto esplicito è il riferimento di Papa Wojtyla alla “spiritualità dell’unità” quando evidenzia i due pilastri su cui poggia la “spiritualità di comunione”: il testamento di Gesù e il mistero di Gesù crocifisso e abbandonato come via per raggiungerla, dimostrando così una straordinaria somiglianza fra la “spiritualità di comunione”, da lui presentata nella Novo millennio ineunte, e la “spiritualità dell’unità”, sino a poter concludere che sono la stessa cosa.
Alle radici della spiritualità di unità
Cerchiamo dunque di penetrare un po’ di più in questa spiritualità dell’unità.
Nell’epoca del villaggio globale, in cui l’umanità si sente chiamata ad essere un’unica famiglia, non è un caso che la Parola di Gesù di cui Chiara Lubich ha avvertito d’essere chiamata con tutto il Movimento a farsi eco e testimone nell’oggi della storia sia: “ut omnes unum sint”, che tutti siano uno (cf. Gv 17, 21). Una Parola tra le tante dette dal Cristo, ma che fu insieme il cuore e la sintesi del suo messaggio e della sua vita: perché è il sogno del Padre, la preghiera suprema del Figlio fatto carne, il desiderio struggente e decisivo nell’esistenza di ogni uomo, la più grande sfida del nostro tempo e di sempre. Chiara la scopre dalla lettura del Vangelo, nel buio di un rifugio durante l’infuriare dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, a Trento.
È come se una luce s’accendesse sotto quelle parole del capitolo 17 del Vangelo di Giovanni, in cui Gesù si rivolge al Padre, prima dell’ora della passione e morte: parole ricche di un significato arcano e di non facile e immediata decifrazione per una giovane poco più che ventenne come lei, anche se provvidenzialmente preparata.
“E – racconta – mi nacque in cuore la convinzione che per quella pagina del Vangelo fossimo nate: per l’unità, e cioè per costruire l’unità con Dio e con i fratelli”[8]. Questa fu l’intuizione originaria che poi divenne il leit motiv della vita di Chiara e di milioni di persone che compongono ora il Movimento dei Focolari. Illuminazione che trova la possibilità di realizzazione nella scoperta-rivelazione di Gesù crocifisso e abbandonato come chiave dell’unità con Dio e con i fratelli. Dunque tutta la spiritualità è contenuta nell’unità, come parola sintesi del Vangelo, e in Gesù crocifisso e abbandonato, vertice di ogni spiritualità, come via per realizzarla.
Attraverso il carisma dell’unità, dono dello Spirito Santo, il Signore ha avuto la bontà di far conoscere a Chiara prima, e ad altri subito dopo, quelle linee che hanno trovato forma in quel nuovo stile di vita, quella moderna spiritualità, detta appunto “spiritualità dell’unità”, personale e comunitaria insieme. Spiritualità che coincide – come abbiamo già visto – con la “spiritualità di comunione” che Giovanni Paolo II ha proposto nella Novo millennio ineunte a tutta la Chiesa perché sia vissuta.
Questa spiritualità suscita e promuove una vita ad immagine di quella della Santissima Trinità, vita portata da Gesù in terra. Così pensavano infatti Chiara e le sue compagne ancora sotto il flagello della guerra, nei primi anni del nostro Movimento.
Quando un emigrante si trasferisce in un Paese lontano, s’adatta certamente all’ambiente che trova, ma continua spesso a parlare la sua lingua, a vestire secondo la moda del suo Paese, a costruire edifici simili a quelli della madre patria.
Quando il Verbo di Dio si è fatto uomo, si è adattato al modo di vivere del mondo, ed è stato bambino e figlio esemplare e uomo e lavoratore; ma ha portato quaggiù il modo di vivere della sua Patria celeste, ed ha voluto che uomini e cose si ricomponessero in un ordine nuovo, secondo la legge del Cielo: l’amore. E l’amore è stato proprio – come ha sottolineato Giovanni Paolo II quando è venuto nel ‘94 alla sede centrale del Movimento a Rocca di Papa – la “scintilla ispiratrice di tutto ciò che si fa sotto il nome del ‘focolare’” [9].
Infatti, pur avendo in cuore il desiderio struggente di vivere tutto il Vangelo, Chiara e le prime focolarine vengono attirate particolarmente dalle parole che parlano più esplicitamente d’amore: “Amerai il tuo prossimo” (Mt 5, 43); “Amate i vostri nemici” (Mt 5, 44); “Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’” (Gal 5, 14). Parole d’una potenza straordinaria, le uniche capaci di mutare radicalmente la vita: come è successo a loro. Per una grazia veramente eccelsa, lo Spirito Santo le ha condotte ben presto nel cuore del Vangelo, incidendo nella loro mente, a caratteri di fuoco, il comandamento che Gesù dice suo e nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Ma come egli ci aveva amato? L’hanno capito quando la luce di Dio le ha concentrate sul grido di Gesù in croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46). Era lì il “come”, lì era la misura del suo amore, e di quello vicendevole a noi richiesto: misura senza misura nel dover dare tutto, nel non riservare nulla per noi stessi, nell’essere pronti a dare non solo la vita, ma anche ogni ricchezza spirituale e materiale.
Nel suo grido Gesù aveva veramente dato tutto; s’era oscurato in lui anche il sentimento della sua unione col Padre. Si era sentito disunito da lui, diventando così artefice e via dell’unità degli uomini con Dio e fra di loro. Gesù abbandonato s’era annientato per amore, s’era fatto nulla per amore, dandoci pure la più luminosa spiegazione di che cos’è l’amore: annientarsi, appunto, non essere, scomparire, e così essere amore in atto. Questo è il vero, il più pieno, il più autentico amore.
Con la sua grazia, nonostante la nostra piccolezza, Chiara e tutti noi che l’abbiamo seguita, abbiamo cercato di vivere così, e ci siamo accorti che Gesù aveva portato in terra proprio il modo di vivere del Cielo.
La fedeltà, infatti, all’amore reciproco, vissuto sul modello di Gesù crocifisso e abbandonato, sfociava nell’unità secondo la vita della Santissima Trinità. Lo stesso Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes afferma che “la Chiesa ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato” e che “a ciò contribuisce moltissimo la carità fraterna dei fedeli, che unanimi nello spirito… si mostrano quale segno di unità” (n. 21). Anzi, lo stesso documento sottolinea che “il Signore Gesù quando prega il Padre, perché ‘tutti siano uno’ (Gv 17, 21-22)… ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio” (GS 24).
Nuove prospettive: il contributo del carisma dell’unità alla Chiesa-comunione
Abbiamo visto come l’esperienza della comunione fra carismi fatta finora abbia permesso di sperimentare il moltiplicarsi di tantissimi frutti nella Chiesa e anche di cominciare ad offrire una più credibile testimonianza al mondo.
In particolare la conoscenza reciproca e la circolazione dei doni ha portato alla scoperta della complementarietà dei carismi perché la Chiesa sia quella che deve essere: “koinonìa”. Arrivare cioè a sperimentare quanto san Bernardo scrive nell’Apologia a Guglielmo di Saint-Thierry: “Io ammiro tutti gli ordini religiosi. Appartengo ad uno di essi con l’osservanza, ma a tutti nella carità. Abbiamo bisogno tutti gli uni degli altri: il bene spirituale che io non ho e non possiedo, lo ricevo dagli altri. In questo esilio, la Chiesa è ancora in cammino e, se posso dire così, plurale: è una pluralità unica e un’unità plurale. E tutte le nostre diversità, che manifestano la ricchezza dei doni di Dio, sussisteranno nell’unica casa del Padre, che comporta tante dimore. Adesso c’è divisione di grazie; allora ci sarà distinzione di glorie. L’unità, sia qui che là, consiste in una medesima carità”[10].
Quello che Bernardo diceva, circa la complementarietà degli ordini religiosi, oggi può e deve essere ampliato a tutti i carismi, anche a quelli dei nuovi soggetti ecclesiali, come viene confermato al n. 30 dell’Istruzione Ripartire da Cristo.
Un altro frutto originale nato e sperimentato dalla comunione tra i carismi è la riscoperta della propria identità carismatica. La relazione fra carismi diversi rafforza e arricchisce l’identità di ciascuno.
Chiara, in un incontro promosso dal Pontificio Consiglio per i Laici, richiesta della sua esperienza e di quella del Movimento dei Focolari, suggeriva a ciascun movimento di essere fedele al disegno di Dio, a quella volontà di Dio particolare contenuta nel carisma.
Già nei primi tempi Chiara invitava le sue compagne a camminare sul raggio della volontà di Dio guardando al sole: “Guarda il sole e i suoi raggi… Cammina verso il sole nella luce del tuo raggio, diverso e distinto da tutti gli altri, e compi il meraviglioso, particolare disegno che Dio vuole da te. Infinito numero di raggi, tutti provenienti dallo stesso sole… unica volontà, particolare su ciascuno. I raggi, quanto più si avvicinano al sole, tanto più si avvicinano tra loro… finché saremo tutti uno”[11]Ora quale può essere la particolare volontà di Dio per chi ha ricevuto come dono il carisma dell’unità e lo deve donare alla Chiesa, perché essa non solo sia comunione, ma possa anche realizzare la sua missione di essere testimone dell’unità nel mondo (cf. GS 24)? .
Jesús Castellano, che è stato un grande esperto di teologia spirituale, scrivendo a Chiara diceva che “quel di più che il Movimento [dei Focolari] ci dà con la spiritualità collettiva è la visione e la prassi di una comunione, di una vita ecclesiale, ‘a Corpo mistico’, nella quale vi è la reciprocità del dono personale e la dimensione del diventare uno”[12]Chiara confermava: “È la vita della Trinità che noi dobbiamo procurare di imitare, amandoci tra noi, con la grazia di Dio, come le Persone della Santissima Trinità si amano tra loro. Ma è proprio questa vita la più forte testimonianza di Dio al mondo”[14].. Questo di più – continua Castellano, – porta a dire: “se la Trinità è in me ed in te, allora la Trinità è fra noi, siamo in una relazione trinitaria… allora il nostro rapporto è a modo della Trinità, anzi è la Trinità che vive in noi questo rapporto”[13].
Ecco dunque, la volontà di Dio da compiere: far circolare nelle vene del Corpo di Cristo l’amore trinitario, così che possa illuminare i rapporti all’interno di ogni cellula di Chiesa, e instaurare l’amore reciproco anche nei dialoghi con persone di religioni diverse o senza riferimenti religiosi ma di buona volontà. E ciò perché l’amore reciproco, chiesto da Gesù, è la condizione per meritare la Sua presenza, capace di generare e di edificare la Chiesa. Come conferma Tertulliano: “Dove due o tre (sono uniti) anche se laici lì è la Chiesa”[15]Con questa presenza viene costruito il castello esteriore, come amava dire Chiara, e viene presentato il volto vero della Chiesa: “il Cristo totale”, come amava dire Agostino. Così, anche per il contributo dei carismi in comunione fra loro, la Chiesa potrà veramente realizzare la sua missione di riportare l’umanità e il cosmo nel seno della Trinità, e permettere al mondo di contemplare in terra, da subito, quella comunione che i santi, cristiani realizzati, già vivono in cielo. Sarà possibile vivere il “come in cielo così in terra” (Mt 6, 10). .
Maria: icona della Chiesa comunione
Non posso terminare questo mio intervento sulla comunione dei carismi senza volgere lo sguardo a Maria, madre della Chiesa e dell’unità, definita dall’allora cardinale Ratzinger: “modello della comunione ecclesiale… perché è lì in mezzo agli Apostoli, nel cuore stesso della Chiesa nascente e della chiesa di tutti i tempi”[16]Nei nostri statuti generali viene sottolineato che il Movimento dei Focolari porta il nome di Opera di Maria anche perché “desidera essere – per quanto è possibile – una presenza [di Maria] sulla terra e quasi una continuazione”[17]. “È Maria – scrive ancora Chiara – il tipo del membro del Corpo mistico, in cui tutte le grazie hanno fruttato e nessuna è andata perduta. Lei è un po’ la sintesi del Corpo mistico, una piccola Chiesa che sta dinanzi a Gesù come capo della Chiesa. Perciò in lei tutti quei membri del Corpo mistico, che hanno potenziato la loro vita in quanto tali, possono rispecchiarsi e averne il più perfetto modello”[18] ..
Insieme affidiamo oggi a Maria la comunione di tutti i figli dei carismi, antichi e nuovi, per una Chiesa sempre più immagine della Trinità, testimone del vero amore e unità.
Che Lei, anche attraverso l’amore reciproco tra tutti noi, possa ridonare al mondo la presenza del suo Figlio, Gesù, per il bene di ogni persona e dell’umanità intera, ed Egli ci faccia tutti uno, per la gloria di Dio.
[1] C. Lubich, Il Movimento dei Focolari e la Famiglia francescana, in P. Monaco (ed.), Consacrati per l’unità. Chiara Lubich e i carismi, Città Nuova, Roma 2010, p. 174.
[2] Id., Intervento in Piazza S. Pietro durante l’incontro di Giovanni Paolo II con i movimenti ecclesiale e le nuove comunità, 30.5.1998.
[3] Id., Il Movimento dei Focolari e la Famiglia francescana, cit., p. 174.
[4] Ibid.
[5] Ibid., p. 173.
[6] Cit. in F. Ciardi, Comunione fra carismi antichi e nuovi, conversazione ai vescovi amici del Movimento dei Focolari, Castelgandolfo, 12.2.2003, inedito.
[7] Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al convegno spirituale dei vescovi amici del Movimento dei Focolari, 14.2.2001.
[8] C. Lubich, Un popolo nato dal Vangelo, a cura di E.M. Fondi – M. Zanzucchi, Edizioni San Paolo, Cinsiello Balsamo 2003, p. 22.
[9] Giovanni Paolo II, Discorso al Movimento dei Focolari, Centro Mariapoli, Rocca di Papa, 19.8.1984, in L’Osservatore Romano, 21.8.1984, p. 5.
[10] San Bernardo, Apologia a Guglielmo di Saint-Tierry, IV, 8: PL 182, 903-904; cf. Vita consacrata, 52.
[11] C. Lubich, Non la mia ma la tua, in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, p. 129.
[12] Id., Una nuova spiritualità: collettiva, in Una via nuova, Città Nuova, Roma 2002, p. 15.
[13] Ibid.
[14] Id., cit. in J.M. Povilus, “Gesù in mezzo” nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1981, p. 74.
[15] De exhort. Cast., 7, PL. 971.
[16] Congregazione per la dottrina della fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, Editrice Vaticana, 28.5.1992.
[17] Statuti generali dell’Opera di Maria, art. 2.