Il capriolo
Ne abbiamo visti 10!. I bambini entusiasti dopo un’avventura notturna nel campo organizzato in un parco naturale, non stavano nella pelle. Caccia grossa quindi, anche se solo visiva; ma di chi? Di piccoli quadrupedi, bambi nostrani, del territorio collinare e montano. Un tempo confinati sull’arco alpino e, in popolazioni residue, in Calabria e sul Gargano, a causa dell’attività venatoria, dagli anni Settanta- Ottanta hanno gradualmente rioccupato gli antichi territori dello stivale, specialmente del centro-nord. Il capriolo infatti è un grazioso ungulato, così chiamato assieme a cervi, daini, camosci, stambecchi e cinghiali, ospite tipico degli ambienti radurabosco. Non è difficile incontrarlo se cercato negli orari opportuni. Di giorno in genere non si vede, sta rintanato all’interno della macchia per prudenza e timore a salvaguardia dai potenziali nemici. Solo all’imbrunire esce stando ai margini delle più o meno grandi radure, per nutrirsi di erba, il suo alimento base, e rientrare con pochi balzi nella selva all’approssimarsi di un potenziale pericolo. In regime di quiete comunque, da quest’orario in poi e fino all’alba, resta allo scoperto, svolgendo le usuali attività: nutrirsi, avere rapporti sociali e territoriali ed altro. Vive in genere solitario o in gruppetti di pochi individui, spesso formati da mamma con uno o due piccoli. Il maschio è il più territoriale. Recinta una certa area ove non entrano altri individui se non col suo permesso. La femmina invece può spostarsi per visite ad altri consimili specie nel periodo nuziale, sapendo bene (ciò è rilevato da interessanti, recenti studi) chi abita oltre la valle o nel bosco del versante opposto, salvo rientrare dopo qualche giorno nel territorio abituale. Le sue armi per la sopravvivenza sono caratteristiche. Un odorato sopraffino che gli permette di leggere e riconoscere le tracce di chi circola nelle vicinanze, ma anche capacità notevoli di scatto e corsa. In questo è un centometrista, più che u maratoneta. Ciò a causa di un cuore strutturalmente sottodimensionato rispetto alla corporatura e con manifesti limiti di tenuta nel tempo. Nella fuga infatti alterna scatti a soste per riposo e relativa verifica dell’evoluzione della minaccia. La capacità di ruminare rappresenta un altro suo importante vantaggio. Permette di poter assumere in breve tempo grandi quantità di cibo, per poi masticarle e digerirle nascosto in un luogo al sicuro. Oltre alla velocità, da buon cervide, altra caratteristica è, nei maschi, lo spettacolare palco di corna. È il trofeo che risalta maggiormente dal suo portamento slanciato e aggraziato insieme. Le peculiari ramificazioni ossee nella specie sono a tre punte, ben armonizzate, come dimensioni, con il resto delle misure corporee. Il capriolo è il più piccolo fra gli ungulati, ma di stazza sufficiente per attirare comunque l’attenzione dei grandi predatori. Il lupo, la lince e i cani rinselvatichiti, sono i suoi nemici principali. A questi se ne aggiunge un altro, più subdolo se si vuole e che spesso è il risultato di una scarsa educazione stradale. Se, infatti, i suoi sentieri incrociano l’asfalto, il capriolo non ama dare la precedenza, specialmente se inseguito o disturbato; da qui gli incidenti, spiacevoli per il conducente e per l’investito e talvolta gravi, sia per l’auto che per l’animale. Ma per fortuna pure questi pericoli, sempre incombenti, sono superati da una forte valenza riproduttiva e una buona capacità di adattamento al territorio, che rendono la specie numericamente e attualmente in buona salute. Se avvicinati con opportuni accorgimenti e cautele, l’incontro con i caprioli può diventare un motivo di grande meraviglia, a suggello del fascino dello stare insieme in natura, che coinvolge giovani, adulti e… bambini. IL PIÙ PICCOLO CERVIDE EUROPEO È diffuso dai boschi del circolo polare artico fino alle aree dell’Asia minore, Iran, Palestina e Iraq. In Italia occupa l’arco alpino e l’appennino centro settentrionale con nuclei isolati a Castelporziano, nella Foresta Umbra e nei monti calabresi dell’Orsomarso. Il peso dell’adulto è sui 23- 25 chili. Alto al garrese circa 70 cm è privo di coda. Al suo posto vi è un caratteristico specchio bianco che risalta soprattutto sulle tonalità grigie invernali. È invece molto meno visibile su quelle rossicce, colorazione assunta dal mantello in primavera e in estate. Si nutre di piante erbacee, ma non disdegna all’occorrenza germogli, foglie e frutti selvatici. Si riproduce a primavera con la nascita di uno o due piccoli. Gli stessi rimangono fermi, sfruttando il colore mimetico nelle radure con erba alta e visitati furtivamente dalla madre per il tempo strettamente necessario per il pasto. Una volta cresciuti ed in forze, la seguono poi per diversi mesi imparando i comportamenti fondamentali per la sopravvivenza. L’elemento più nobile della specie è il palco di corna. Presente solo nel maschio, viene rinnovato ogni anno. La crescita inizia a fine inverno ed è completata a metà primavera. La struttura diviene quindi pronta per le scaramucce territoriali all’inizio dell’estate. L’ambiente preferito è l’alternanza radura bosco di collina e montagna, in aree con innevamento scarso e poco prolungato. La popolazione italiana appare in buona salute con una stima di consistenza numerica intorno ai 400 mila esemplari.