Il “capolavoro” di madonna Chiara
Assisi, basilica di Santa Chiara. Un imponente restauro, durato quattro anni, la mostra oggi in tutta la sua austera, maestosa bellezza. Sono cancellate le ferite infertele dal sisma del ’97, che avevano reso la chiesa pericolante, ed il protomonastero inabitabile. Ha fatto il giro del mondo la notizia delle clarisse che, con commovente determinazione, avevano preferito accamparsi nell’orto. Solo ora mi rendo conto di quanto mi siano cari e familiari questi luoghi, che ho avuto in più occasioni modo di visitare. E “restaurato”, cioè restituito nei suoi tratti originali, è possibile ora ammirare il patrimonio pittorico della chiesa. Una storia affascinante, perché la costruzione e la decorazione della basilica di Santa Chiara è contemporanea a quella di San Francesco. Ritrovo nell’altare maggiore il famoso crocifisso detto della badessa Benedetta. L’autore è il formidabile pittore noto come “Maestro di Santa Chiara”. Alla base della croce dipinta c’è una piccola donna in ginocchio a mani giunte: la committente. Accanto c’è infatti una scritta: “Domina Benedicta post sanctam Claram prima abatissa me fecit fieri”. Si può anche risalire alla data. Intorno al 1265, una badessa di nome Benedetta prendeva in consegna la nuova chiesa insieme al convento ancora odoroso di pittura. Ed affermava, non senza una punta di orgoglio, di aver ricevuto il testimone direttamente da Chiara. Inizia con lei la storia meravigliosa delprotomonastero. Quaranta generazioni di “dame povere” vi si sono avvicendate, vivendo la sua “forma di vita”. Quest’anno clariano si concluderà l’11 agosto 2004. Tra le molteplici iniziative, un convegno di studi ad Assisi su santa Chiara. Dal 20 al 23 novembre, i massimi esperti a livello internazionale, delle più varie discipline, storiche e storiografiche, teologiche artistiche e letterarie, hanno “monitorato” lo stato attuale degli studi sulla santa. Solo negli ultimi cento anni, infatti, è stata possibile una visitazione più attenta della sua figura, grazie alle edizioni critiche dei suoi pochi scritti rimastici, ed alla revisione biografica provocata dal ritrovamento dei processi di canonizzazione. Tutto ciò ha scrostato gli schemi edulcorati di una certa agiografia, restituendo una personalità autonoma, ricca ed originale, pur se in perfetta sintonia col carisma di Francesco. Una sessione dei lavori si è svolta proprio nella basilica di Santa Chiara, per consentire alle clarisse non solo di parteciparvi, ma di dare un contributo al dibattito in corso. Due di loro, ben note al mondo accademico, Chiara Agnese Acquadro e Chiara Cristina Mondonico, hanno svolto un’attesa relazione sulla “Regola di santa Chiara”. Si è molto parlato di questo scritto. Allo stato attuale degli studi, sono stati diradati i dubbi sulla sua autenticità. Come è stato sottolineato nel corso delle relazioni, nella terminologia della Regola si riscontrano “vocaboli, verbi e concetti tipici del linguaggio dall’autrice delle lettere ad Agnese di Praga e del Testamento”. Dunque Chiara è l’autrice, sebbene probabilmente fu frate Leone, il più fidato e fedele compagno di Francesco, ad assisterla in questa stesura dopo la morte del Padre. Figlia di famiglia nobile, madonna Chiara dovette essere anche colta e dovette scrivere parecchio. Non ci rimangono di lei che la Regola, il Testamento, e cinque lettere. Poche, ma sufficienti a ricostruire i tratti originali di questa donna del Medioevo che appare ancora modernissima. Chiara partecipa al grande movimento femminile che nei secolo XII e XIII ha dato splendide figure di donne: Ildegarda di Bingen, Lutgarda di Tongeren, Elisabetta di Turingia, Cunegonda di Polonia… Tutta una lista di donne forti e gentili, esemplari nella cura della casa e nella pietà verso i deboli. Ma, fra loro, sarà solo lei che donerà alla chiesa una famiglia di sorelle. E sarà la prima a scrivere una propria regola, e a chiederne al papa l’approvazione, con determinazione ed autonomia spirituale. Molto si è parlato del “privilegio della santissima povertà” . Ci son voluti quasi quarant’anni, ed il passaggio attraverso varie “regole” (famosa quella del cardinale Ugolino) per pervenire finalmente a un’accettazione definitiva dell’originalità carismatica della forma di vita ispirata da Francesco. Il principale ostacolo era costituito dalla rinuncia a qualsiasi garanzia economica. Bisogna ritornare allo stile di vita del tempo, per capire quanto innovativo e sconvolgente fosse il proposito, specialmente in un monastero di donne. Su questo punto cercheranno di farle cambiare idea perfino i papi. La sua tuttavia è una regola che risente di una sensibilità tutta femminile, attenta al decoro, alla dignità : la sorella “deve” lavorare manualmente per mantenersi, “può” avere tre tonache personali (ed anche un mantello), e il monastero “possedere” un terreno sufficiente per l’isolamento, da coltivare solo come orto. Ma, soprattutto, per Chiara la povertà – così citata nei suoi scritti – è “la ricchezza dell’anima che, spogliata dei propri beni, si apre allo Spirito del Signore e alla sua santa operazione “: alla maniera di Maria nell’Annunciazione, come conca vuota in cui Dio può riversare l’abbondanza dei suoi doni. Nella Regola troviamo totalmente riportata la prima “Forma di vita” data da Francesco alle “sorelle povere”: “Per divina ispirazione vi siete fatte figlie e serve dell’Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo vangelo”. Spiegano le clarisse: “”Sposa dello Spirito Santo” è un termine inusitato nella storia della chiesa, dove la suora, la monaca, è sempre indicata come “sposa di Cristo”. Ma riecheggiano qui alcuni termini del racconto lucano dell’annunciazione, che diventano parole-chiave per esprimere l’esperienza di Chiara”. È la stessa esperienza trasfusa nelle lettere ad Agnese figlia del re di Boemia, che rifiutando le nozze con Federico II l’ha seguita nella sua “forma di vita”. Riteniamo che si sia comportata in modo analogo con gli altri centocinquanta monasteri che lasciò alla sua morte, sparsi in tutta Europa, anche se le sue lettere ad essi indirizzate non ci sono pervenute. Ma vi è un altro “polo” della Regola. Chiara, anche qui con linguaggio inusitato e nuovo, lo chiama “santa unità”. Lo stesso Giovanni Paolo II, nel messaggio alle clarisse dell’11 agosto scorso, ha sottolineato questa dimensione comunitaria della Regola di santa Chiara. Che si riflette non solo sulla vita interna al monastero, vista come una comunione fraterna di stile familiare, di mutuo servizio, in cui le sorelle sono esortate a “conservare sempre reciprocamente l’unità nella scambievole carità”. E che, rompendo con la tradizione monastica delle abbazie, propone un nuovo tipo di guida. Per Chiara, la badessa deve manifestare una dedizione di sorella e madre; di “ancilla” più che di “domina”. In momenti-chiave, le decisioni devono essere prese “di comune accordo da tutte le sorelle”, consentendo una partecipazione diretta ed allargata al governo del monastero. Chiara, gravemente inferma, attende pazientemente il sigillo della chiesa. Innocenzo IV è ad Assisi, e qualcuno lo informa che madre Chiara è morente. Il 10 agosto, un messo papale reca a San Damiano la Bolla con cui il vicario di Cristo concede a lei e alle sorelle che verranno il privilegio della povertà. Le cronache raccontano che Chiara, “benché fusse alla morte, ella medesima se puse quella Bolla alla bocca per baciarla. E poi lo dì seguente passò da questa vita al Signore”. (dal Processo di canonizzazione). Era l’11 agosto 1253. La sua opera, la famiglia di figlie e sorelle che aveva generato alla chiesa, era salva per i secoli.