Il capolavoro di Dio
Ogni mattinata dell’Ökumenischer Kirchentag iniziava con una serie di “meditazioni bibliche”, cioè riflessioni su un testo della Sacra Scrittura. Chiara Lubich è stata invitata a commentare un passaggio del Genesi (Gn 1,26-2,3): “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Riportiamo alcuni stralci del suo discorso. Al culmine dell’atto creativo di Dio vi è la creazione dell’uomo. Posto al vertice del creato, l’uomo appare come il “capolavoro di Dio”. Dio ha creato l’uomo, quindi l’uomo in quanto creatura dipende da Dio completamente. È questo il rapporto basilare, il primo che va tenuto presente. Tutto quanto l’uomo è e fa, lo è e lo fa come creatura. Però Dio lo ha creato a sua “immagine e somiglianza”. Che vuol dire questo? Significa innanzitutto che l’uomo ha la capacità di un rapporto personale, diretto con lui: un rapporto di conoscenza, di amore, di amicizia. Ora, se la caratteristica essenziale dell’uomo sta nella sua relazione con Dio, per realizzarsi pienamente egli deve vivere e sviluppare nel concreto tale rapporto. Più la sua relazione con Dio si approfondisce e si arricchisce, più l’uomo si realizza e più è felice. Vi è un modo alla portata di tutti per crescere in ogni istante in questo rapporto con Dio: amare Dio è fare la sua volontà. Si tratta di osservare i suoi comandamenti, di adempiere i doveri del proprio stato, di ascoltare la voce della coscienza, dove è Dio che parla. Seguire Dio e aderire a quello che lui vuole non è, come spesso si pensa, una sovrastruttura artificiale e tanto meno un’alienazione; non è rassegnarsi ad una sorte più o meno buona; non è neppure subire una fatalità. Fare la volontà di Dio è quanto di meglio si possa pensare per l’uomo. Ascoltando la voce di Dio e compiendo quanto egli dice, l’uomo coopera a fare emergere l’immagine di Dio che egli è e, con essa, il grande disegno di Dio – disegno di salvezza e di glorificazione – sull’umanità. Nella pienezza dei tempi il Padre ha mandato il suo Figlio per restaurare in noi l’immagine di Dio che era stata deturpata dal peccato. Per questo nel Nuovo Testamento, conformarsi a Dio, all’immagine di Dio, significa conformarsi a Gesù. Gesù insegna due sole cose che sono una: ad essere figli d’un solo Padre e ad essere fratelli gli uni gli altri. E l’essere figli d’un solo Padre si attua proprio essendo amore per i nostri fratelli. Quando Dio ha creato il genere umano, ha plasmato un uomo e una donna chiamati alla comunione. Ambedue sono caratterizzati come “immagini di Dio”. Lo sono in modo assolutamente uguale, insieme e nella loro relazione. Da questa distinzione e polarizzazione in uomo e donna risulta che il destino dell’essere umano è vivere in comunità, l’adam è creato per vivere con l’altro e per l’altro. Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere in Dio stesso, nel mistero trinitario della sua vita, il modello originario della famiglia (e con essa di ogni rapporto interpersonale). Il “noi” divino costituisce il modello eterno del “noi” umano, di quel “noi” innanzitutto, che è formato dall’uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina. È un modello, in certo modo, inaccessibile. Ma Dio non può averci creato per cose impossibili. Gesù, infatti ci ha insegnato il comandamento che egli stesso non ha esitato a definire “mio” e “nuovo”: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (cf. Gv 13,34; 15,12). Questo comandamento nuovo, vissuto sulla misura dell’amore suo per noi, definisce la visione dell’uomo che ci è rivelata da Gesù, il cuore dell’antropologia cristiana. È la vita della Santissima Trinità che gli uomini e le donne sono chiamati ad imitare, amandosi tra di loro, con l’amore effuso dallo Spirito nei nostri cuori, come si amano le Persone della Trinità. E il dinamismo della vita intratrinitaria è incondizionato reciproco dono di sé, è totale ed eterna comunione. Chi vive così restaura e fa splendere l’immagine di Dio che egli è e diventa una benedizione per la società che lo circonda.