Il canto di Beethoven
Ci sono (forse) almeno due elementi che concorrono a dire la novità interpretativa di un brano musicale: il fatto che questa “novità” resti nell’orecchio interno (mente e memoria) per parecchio tempo in chi l’ha udita, e che alcuni momenti – penso ai primi accordi del terzo movimento (Adagio molto e cantabile) – siano talmente belli da desiderare che in quell’attimo stiano lì con noi, a goderne, tutti coloro che amiamo. È successo all’ascolto della IX Sinfonia beethoveniana il 9 luglio fra le volte – acusticamente imperfette – del duomo di Siena, in cui l’atmosfera azzurrina delle vetrate trecentesche è servita da commento visivo ad una musica che per bellezza e originalità mai finisce di stupire. Se poi sul podio c’è un direttore intuitivo come Gianluigi Gelmetti che, più che in prova, al momento dell’esecuzione pubblica sa lasciarsi portare dal filo d’ispirazione che “nasce” dal far musica insieme per gli altri – non sarebbe forse questa la ragione di un concerto? – per offrirne luminosità originali, la gioia è assicurata. Penso ad alcune “novità”: il terzo tempo, così poco lento, mosso dalla voglia del canto naturalissima per cui gli archi si passano la melodia con gli strumentini con la “facilità” delle cose sorgive, direi quasi, divine: e divina, in certo qual modo, è l’atmosfera che si crea; la sottolineatura dissonante dell’incipit del IV movimento, volutamente dura prima di lasciare i bassi proporre morbidamente il tema della “gioia”; la “marcetta”, priva di ironia (o di ridicolo) ma elevata a dolcezza sorridente, liberatoria, come un canto popolare; per non parlare dei lampi degli archi nel primo tempo, che segnano una sorta di aurora della creazione o del moto di energia inarrestabile nel secondo movimento: forte , mai violento. Ecco, nell’interpretazione di Gelmetti manca la violenza ideologica, il personalismo eccessivo o l’estetismo fine a sé stesso di altre, pur prestigiose, letture: si fa posto ad una forza chiara e serena, con un’orchestra che abituata al canto, canta finalmente e fa cantare. Non si conclude forse la Nona con un “inno alla gioia”? Molto buono il coro e il quartetto di solisti, fra cui spiccavano Marco Vinco, 26 anni, splendida promessa di basso-baritono e Carla Maria Izzo, soprano dalla voce piena e solare, già apprezzata nella Bohème romana. Successo vivissimo, entusiasmo di tutti, orchestra compresa. CLASSICA DISCHI Paolo Vergari, pianista ormai di chiara fama ed Andrea Reuter, soprano dalla voce ricca di armonici e di limpidezze, hanno inciso per la Phoenix un doppio cd dedicato a Schumann (Liederkreis op. 39), Samuel Barber (Hermit Songs) e Olivier Messiaen (Chants de la Terre et de Ciel). In questo viaggio musicale dall’ottocento al secolo ventesimo, stupisce la straordinaria sintonia degli interpreti con i loro autori, nel decifrarne le specificità stilistiche con una naturalezza ed una omogeneità interpretativa che fa di questo cd un minicofanetto prezioso. In particolare per il pianoforte di Vergari, così attento e “ricamato” e il canto della Reuter, un soprano di alta qualità, in perfetta sintonia col pianista. www.phoenixaudiosystem. com M.D.B.