Il cammino della legalità
“Emanuele Notarbartolo”, ex sindaco di Palermo e senatore ucciso dalla mafia l’1 febbraio 1893. “Domenico Petruzzelli”, tre anni, assassinato il 19 marzo 2014 sulla statale. Tra di loro, in un arco di tempo lungo oltre cent'anni, ci sono 898 nomi, 898 storie troncate da una mano omicida, 898 vite che lastricano il cammino della legalità. Questo interminabile elenco viene letto con voce talvolta rotta, altre volte incerta, spesso decisa, sulla piazza del popolo a Latina per la XIX giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera. I nomi scorrono sulla bocca dei fratelli, dei genitori, delle mogli e dei mariti. Sono pronunciati da Ivan Lobello, già presidente di Confindustria che per primo allontanò gli imprenditori corrotti, da Mariano Crociata, già segretario della Cei e ora vescovo della città che ospita la manifestazione. Scorrono sulle labbra di rappresentanti delle istituzioni: il sindaco, comandanti della guardia di finanza e dei carabinieri, procuratori della Repubblica, esponenti della commissione antimafia. Pietro Grasso, presidente del Senato leggendo i nomi delle vittime delle stragi di Capaci e di via d’Amelio strappa l’applauso, fuori copione, ad una platea silenziosa e impietrita. Il nostro secolo è raccontato anche da queste storie e dalle famiglie di queste vittime che sfilano in corteo con al collo la foto di chi gli è stato sottratto. Ottanta di questi nomi sono di bambini, colpiti per errore o intenzionalmente uccisi per far morire in qualche modo le loro famiglie.
Libera e il suo fondatore don Luigi Ciotti, in questi diciannove anni, hanno ascoltato le storie, né hanno fatto memoria. Sono diventati compagni di viaggio delle lacrime e degli interrogativi di chi aspetta ancora giustizia. Hanno percorso l’Italia per restituire alla collettività aziende, terreni, luoghi che le mafie esibivano come trofei di potere e che ora sono cooperative sociali, prodotti sani, testimonianze di riscatto.
“Basta tiepidezze, anche per la Chiesa. Ci vuole più coraggio per saldare Cielo e terra perché testimonianza cristiana è anche testimonianza civile. Bisogna sporcarsi le mani per costruire quell’avete fame e sete di giustizia”. Don Ciotti, dallo stesso sacrario civile, che è diventato questo palco, alimentato elettricamente dalle pedalate di cento ciclisti, invita per prima la sua Chiesa a più fatti e meno parole, ma non risparmia neppure il fronte antimafia che ha “abusato dell’anti per costruirsi falsa credibilità, forme di arrivismo e di ambizione personale” mentre la stessa legislazione con le troppe prescrizioni non garantisce “giustizia e verità”, perché il 70 per cento dei familiari delle vittime di mafia ancora non conosce i perché di quegli assassini. Il fondatore di Libera poi elenca i progetti e l’impegno: la campagna Miseria ladra a difesa dei cinque milioni di italiani che la crisi ha gettato nella povertà assoluta; quella sulla legge contro la corruzione; la proposta di inserire i delitti ambientali nel nostro codice legislativo. La responsabilità è la risposta che quei nomi letti, qualche minuto prima, esigono.
Papa Francesco, incontrando venerdì i familiari per una veglia di preghiera, ha ascoltato serio quell’elenco, ha poche volte alzato lo sguardo, ma quando ha preso la parola ha chiamato in causa per primi i “grandi assenti, uomini e donne mafiosi”. “Convertitevi, lo chiedo in ginocchio”, ha detto con voce cupa. “Il potere e il denaro che avete adesso da tanti affari sporchi è insanguinato. Convertitevi per non finire all’Inferno che vi aspetta. Avete anche voi padri e madri. Pensate a loro e convertitevi”. Il coraggio del cambiamento, che i morti ci ricordano come luci di questo cammino di legalità, lo implorano ora i vivi: i familiari delle vittime, gli imprenditori ancora minacciati, i 351 amministratori intimiditi, i magistrati su cui è stata emessa la condanna della mafia.