Il Calvario di un prete

Mentre a Cannes si va svolgendo il festival, già stanno uscendo alcuni film della rassegna francese. Da non perdere questo film di John Michael McDonagh con un grande Brendan Gleeson. In uscita anche "Il racconto dei racconti di Garrone" e "Nomi e Cognomi" con Enrico Lo Verso
Film Calvario

Il racconto dei racconti
Trarne dalle 50 fiabe del napoletano secentesco Giambattista Basile solo tre non dev’essere stato facile, ma Matteo Garrone ama il rischio e dopo Reality passa alla fiaba. Così il teatro delle vita, espresso da un carrozzone di commedianti, si esprime nella regina possessiva del figlio albino avuto magicamente come la sua serva che ne ha procreato un altro gemello; nel re innamorato di una creatura mostruosa, il quale dà in sposa la figlia all’orco; nelle due vecchie che seducono, per un certo tempo,  il re libertino. Giovinezza, maternità, amore,vecchiaia nei racconti tra fantasy e horror che il regista inscena con ricchezza iperbarocca di costumi e scenografie: van Dyck, El Greco, Goya, Bosch, Tiepolo sono punti di riferimento per uno come Garrone che viene dalla pittura ed ama il Seicento in modo speciale, a quanto si nota.

Il film è un insieme di quadri che scivolano morbidamente l’uno nell’altro e si compiacciono di visioni orride, mostruose, decorative, surrreali. Il tema del sangue – motore di vita e di morte – attraversa un racconto estetizzante di interni fastosi e di nature fascinose – la fotografia è bellissima -, dove tuttavia la negritudine che accompagna l’opera di Garrone fin dal giovanile e bello L’Imbalsamatore ora  viene accentuata con freddezza, tanto che non lascia alcun spazio all’emozione e lo spessore umano è ridotto ad una vaghissima speranza. Accostare il film ad un circo felliniano, come qualcuno ha scritto, sembra eccessivo.

Nel film di Garrone la metafora – onnipresente in ogni favola – è surclassata dall’eccesso visionario di un polittico fatalistico e nero, cupissimo, desolato, pervaso da una  tristissima malinconia. Gli attori da Salma Hayeck a Vincent Cassel a Toby Jones sono perfetti, ma il racconto risulta a tratti faticoso e troppo fastoso per lasciare impresso qualcosa che vada oltre lo spettacolo barocco. Forse, un capolavoro in effetti più annunciato che compiuto.

 

Mad Max Fury Road
Adrenalinico e impazzito, il film diretto da George Miller racconta tra deserti infiniti, lande desolate e ferocie implacabili l’epopea di una umanità postapocalittica, sottomessa ad un gruppo di folli potenti che cura un futuro selezionato e motorizzato. Il guerriero Tom Hardy, ex prigioniero e preda di incubi, e la principessa Furiosa, ex bambina rapita, Charlize Theron – forzuta e rasata – si conoscono. Lottano contro le truppe super organizzate in una furia gigantesca e martellante per quasi due ore, con tanto di ipertecnologica “corsa delle bighe” in questo Ben Hur postmoderno, tutto effetti speciali nella piccola storia di “redenzione”, con gli eroi solitari, molto made in Usa.

Più spettacolo mozzafiato che indagine su una umanità dove bene e male non hanno limiti né esterni né interni, e dove le parole – poche – sanno di slogan, il film, presentato ieri a Cannes fuori concorso, piacerà agli appassionati di fantasy tecnologica e di battaglie motorizzate e alle donne, giovani e vecchie, molto attive nello scaltro filmone. Il quale, come parecchio cinema d’oggi, indulge più allo spettacolo estremo che ad un racconto vero e  proprio e appare una prova attoriale soprattutto fisica.

 

Calvario
È il destino di padre James, parroco in un paesino dell’Irlanda senza fede, becera, che disprezza i preti e la religione. Un giorno un individuo in confessione gli rivela che fra una settimana lo ucciderà, per vendicarsi di un prete, morto, che lo ha violentato da ragazzino. Lui sarà la vittima, per quanto innocente. Preso tra una figlia avuta da sposato – si è fatto prete da vedovo -, un altro prete senza vocazione, il desiderio di ridiventare aggressivo com’era prima della conversione, l’uomo soffre e dubita se sacrificarsi o meno, come un altro Cristo, per espiare le colpe della sua chiesa e di un popolo abbruttito.

Nella serie dei film irlandesi che raccontano di abusi di gente religiosa – il più celebre Philomena, il più duro Magdalene -, il racconto di John Michael McDonagh con un grande Brendan Gleeson è forse uno dei migliori per asciuttezza, acume psicologico, spessore umano, ritmo da thriller e fotografia poeticamente malinconica. Da non perdere.

 

Nomi e cognomi
Ancora un film sulla delinquenza sociale in Calabria ed ancora un giornalista, Mimmo (Enrico Lo Verso), coraggioso direttore di un quotidiano “libero” nel profondo Sud che, aiutato da giovani volenterosi, parla chiaro e denuncia soprusi e collusioni del potere costituito. Si tenta di corromperlo, ma non ci sta. Ha problemi con la moglie (Maria Grazia Cucinotta) terrorizzata  dal possibile futuro, ma non molla.

Dedicato ai giornalisti vittime delle mafie, il film di Sebastiano Rizzo, per quanto volenteroso, è forse troppo candido come sceneggiatura ed interpretazione, pur affrontando argomenti di continua attualità. Ma è il rischio che stanno correndo gli ormai eccessivi film sul Sud, storie che si assomigliano, purtroppo, un po’ tutte.  

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