Il calcio truccato e la realpolitick
Adesso non si potrà più dire che il nostro sport nazionale sia il calcio, bensì il calcio truccato. A sentire infatti la procura di Cremona, l’inquinamento del pallone è diffuso e accettato universalmente, anzi, la procura sostiene con più brutalità che «l’insieme degli atti di indagine testimonia come l’inquinamento etico del mondo dei calciatori e forse anche di alcuni dirigenti non è stato episodico, ma diffuso e culturalmente accettato in spregio ai princìpi della lealtà sportiva nei confronti dei tifosi innanzitutto».
Ecco la questione: inquinamento etico, cioè questi malfattori hanno «seminato in un campo che era già dissodato e pronto ad accoglierli», dice ancora la procura. Un atto di accusa duro, inclemente. Senza appello. Un atto d’accusa contro il mondo del calcio ma non solo, se lo sfacelo è davvero questo: 150 indagati, un numero impressionante di partite truccate, la mafia che si interessa ai soldi delle scommesse in competizione con altri gruppi criminali quali gli zingari e quello degli ungheresi, assieme ad altre fazioni svizzere e di Singapore.
Qualcuno associa questo filone di inchieste a quello di Tangentopoli, almeno negli effetti. Condivido l’ipotesi, perché allora l’effetto non fu solo aver danneggiato le imprese escluse dagli appalti e le casse dello Stato, ma tutti i cittadini che persero fiducia nei confronti dei partiti. Così, anche oggi, oltre al danno economico per la finanza pubblica e le società calcistiche, vi è il danno di milioni di tifosi che si sentono delusi e ingannati.
Aumentano così i «depredati della speranza»: depredati dalla mala politica, dalla mala finanza, dalla mala sanità e oggi anche dal calcio truffaldino e criminale. Allora ritengo che la questione vada posta seriamente: stiamo assistendo, e talvolta a bordo campo per usare un’immagine calcistica, allo sfacelo della nostra democrazia e del nostro stesso motivo di stare insieme. Adesso, da più parti e talvolta anche da parte di miei amici, sento dire che bisogna fare qualcosa, che non possiamo stare a guardare la decomposizione della nostra civiltà. Bisogna agire, bisogna proporre. Bisogna fare. Mi scuso già in anticipo se risulterò forse sgradevole e antipatico, ma sono convinto che oggi è necessario non girare tanto intorno alle parole, ma andare giù duro – nel rispetto delle persone – ma senza garantire alibi a nessuno.
E un alibi, per esser chiari, è quello che spesso “confina” il mio impegno per la legalità a un ambito, diciamo così, moralistico. Sì, mi dice qualcuno, è importante quel che fai e quel che dici, ma la legalità è un ambito, come lo è l’economia, lo sport, la scuola e via dicendo. E invece sono convinto che oggi la legalità è una pre-condizione necessaria e indispensabile per iniziare a parlare di qualunque argomento, incluso lo sport.
L’atto d’accusa della procura di Cremona dice che il mondo del calcio è un terreno favorevole al malaffare e al brigantaggio. Cosa significa? Che da un decennio noi, senza volerlo, relegando la questione della legalità solo alla dimensione della coscienza e non dell’azione tout-court abbiamo permesso che la politica si poggiasse negli anni sull’evasione fiscale (vero sport nazionale) e sul lavoro nero. Espressione della “realpolitik” che garantiva la funzionalità di un sistema già destinato al collasso.
Forse avremmo dovuto avere più coraggio. Saremmo dovuti essere più generosi con la nostra terra e intervenire nel bilanciamento tra moralismo e realismo, e scegliere con decisione di rifiutare qualunque autonomia della politica dalla morale. Qualcuno mi potrebbe sussurrare che, se vogliamo essere onesti, questo nostro Paese è cresciuto (mi riferisco dal boom economico in poi) grazie anche alla illegalità diffusa (evasione fiscale in testa) e alla dilatazione della spesa pubblica.
Chi sostiene questa tesi mi dice anche qual è la prova del nove del suo assunto. Finita la possibilità di dilatare all’inverosimile la spesa pubblica, siamo nei guai. Più per il debito pubblico, per dire, che per l’evasione fiscale o la corruzione. Oggi, in buona sostanza, si parla con veemenza della questione morale, ci si indigna più che nel passato della corruzione della politica, dell’evasione fiscale e via dicendo. Ma attenzione: è ancora effetto della crisi economica piuttosto che – come dovrebbe essere – della riscoperta del bene comune che dovrebbe naturalmente moralizzare qualunque nostra azione e nostra decisione.
E invece cosa accade? Esattamente quel che è avvenuto nello scandalo di questi giorni, lo scandalo di “calciopoli”: cioè il terreno (le nostre coscienze, le nostre famiglie, i nostri pensieri, la nostra politica e la nostra economia) è già dissodato e pronto a ricevere scelte disoneste mature. Ecco allora la questione. Il nostro sistema (dei partiti, della politica in genere, dell’economia, del volontariato e via dicendo) era già a rischio collasso nel secolo scorso. E comunque è “tarato” sul modello del secolo scorso.
Rifondare la nostra vita, prima ancora che rifondare i partiti o la società, mi sembra la priorità. Siamo “inzuppati” dalla “realpolitik” del secolo scorso, dove tra realismo e moralismo, e cortina di ferro tra blocco sovietico e blocco atlantico, abbiamo sempre tentato di sfumare tutto. Inzuppati anche da una concezione di politica e di partiti quando il mondo non era esattamente simile a quello di oggi. La centralità della persona è la risposta. La scelta della legalità il metodo. Ma il metodo questa volta potrebbe funzionare se scelto non per necessità soltanto, ma anche e sopratutto per virtù.
Avendo il coraggio di porre la scelta della legalità come pre-condizione di qualunque attività singola o comunitaria. Investendo con generosità nella formazione e nella testimonianza della cultura della legalità. L’appello che i Ragazzi per l’unità hanno voluto distribuire in occasione del ventennale delle stragi di Palermo, lo scorso 23 maggio, spiega bene il concetto: la regola d’oro – «Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» – penso potrebbe essere la cura seria e la prospettiva da proporre a quel medico coscienzioso che vuole salvare davvero il malato. Questa è la proposta dei Ragazzi per l’unità. Un po’ di umiltà e di ascolto nei confronti delle giovani generazioni potrebbe aiutarci ad avere il coraggio e la generosità di scegliere sul serio la centralità della persona.