Il brigante di quartiere

Nel mio quartiere viveva un giovane uomo, un brigante. Tutti sapevamo che era un fuorilegge, ma nessuno lo aveva mai denunciato, e così non era mai stato arrestato dalla polizia. Viveva sempre ritirato, solitario. Ogni volta che lo vedevo passare o lo incontravo per caso, mi sentivo come attirato a rivolgergli la parola. Ogni volta che lo incrociavo lo salutavo, e lui mi rispondeva cordialmente. Una mattina, vedendolo passare dall’altra parte della strada, ho preso la decisione di attaccare discorso con lui. L’ho chiamato per nome, e ho attraversato la strada di corsa per raggiungerlo. Gli ho detto che cercavo un amico. Ma lui, credendo che si trattasse di un’altra persona, me ne ha chiesto il nome. Quando gli ho detto il suo proprio nome, ha pensato ancora che si trattasse di un caso di omonimia. E mi ha risposto che non lo conosceva. Gli ho quindi spiegato che aveva ragione, perché non sapeva che l’amico che cercavo era proprio lui, e che gli offrivo la mia amicizia. Sorpreso, non voleva crederci. Me ne chiese il perché. Gli ho risposto con un sincero sorriso: “Perché Dio ti ama. L’ho visto in te. E visto che lui è mio amico e che vive anche in te, ho deciso di unirmi a voi. Sono certo che in tre saremmo capaci di fare delle cose grandi”. A queste parole, dapprima ha fatto un sorriso ironico, come per dirmi: “Non hai l’aria di avere il cervello perfettamente funzionante”. Ma ha solo risposto: “Io?”. E gli ho risposto: “Sì, te”. Improvvisamente ha cambiato atteggiamento. Ha preso un’aria minacciosa, come se credesse che io fossi un poliziotto. Mi ha allora chiesto con aria truce: “Cosa credi che noi possiamo fare insieme?”. Sempre con una grande calma, gli ho risposto: “Tutto quello che ci ordinerà di fare”. Ma il brigante aveva dimenticato che gli parlavo di Gesù che viveva in lui, e forse pensando che gli parlassi del capo della mia gang, mi ha detto: “Di chi parli?”. “Del nostro amico comune Gesù, di cui ti ho appena parlato “. Si è ripreso e mi ha detto: “Non ho nulla a che fare con le cose di chiesa, che d’altronde mi innervosiscono “. Detto questo, ha girato i tacchi. I nostri “colloqui” nella strada sono continuati per circa un mese. Lo invitavo spesso nelle trattorie dove si mangiava a buon mercato, per guadagnarmi la sua fiducia. Ma si è sempre rifiutato di invitarmi da lui, col pretesto che il suo padrone di casa era severissimo, e non ammetteva che si invitassero altre persone. Sapevo che non era vero, ma rispettavo la sua libertà. E quando cercava di sfuggirmi o si nascondeva alla mia vista, facevo di tutto per ritrovarlo. Finché un giorno mi ha confessato che faceva parte di una gang che cominciava a fargli un sacco di domande su di me, suo nuovo amico: le nostre due vite sarebbero state in pericolo se ci fossimo visti ancora. Per tutta risposta, l’ho invitato a lasciare quella banda di banditi. Mi ha risposto che, se fosse dipeso da lui, l’avrebbe fatto. Ma non poteva, perché altrimenti lo avrebbero ucciso. Gli ho allora proposto di aiutarlo, andando a parlare con il boss, a qualsiasi costo, per aiutare lui e i suoi amici che si trovavano nella stessa situazione. Mi ha risposto che se ci tenevo alla mia giovane vita dovevo rinunciare all’idea. Ma ho insistito, al punto che un giorno il mio amico brigante ha accettato di presentarmi al boss. Quel giorno dovevano operare un colpo, ed erano pronti a far fuori chiunque avrebbe opposto resistenza. Appena ci hanno visto, i membri della gang hanno cominciato a minacciarci con una pistola e con numerosi pugnali. Ho fatto loro presente che venivo come amico, per aiutarli ad abbandonare quella vita terribile che conducevano. Uno di loro mi ha schiaffeggiato. Mi hanno colpito con pugni e calci, mi hanno persino torturato, appena un po’. Ma io ho continuato a dir loro che venivo per salvarli in nome di Gesù. Mi hanno legato le mani e i piedi dietro la schiena. Ero in ginocchio con la canna di una pistola sulla nuca. Avevano deciso di uccidermi. Ho quindi espresso il permesso di esprimere un’ultima volontà prima di morire. Me l’hanno concesso. Ho chiesto di conoscere la loro vita prima che la mia condanna a morte fosse eseguita… Erano tutti ragazzi rifiutati da padri e madri, considerati all’origine di tutte le disgrazie delle rispettive famiglie. Ho detto loro che, se esistevano, era perché il Creatore li amava. Ed era lo stesso Dio che ora mi inviava a dir loro che potevano essere felici. Se decidevano quella sera stessa di lasciare quella vita bastarda che conducevano, Dio li avrebbe benedetti. Prima uno di loro, timidamente, poi un secondo, quindi un po’ tutti mi hanno chiesto come fare. Ho risposto loro così, senza rifletterci più di tanto: “Restituite tutti gli oggetti rubati che sono ancora in vostro possesso. Rientrate a casa e fate la pace con i vostri genitori e con voi stessi”. A queste parole, colui che impugnava la pistola e stava per eseguire la condanna, pieno di rabbia mi ha detto: “È giunta l’ora di spedirti all’inferno “. A quel punto il boss è uscito per vedere quel che succedeva. Ha detto forte: “Oggi è il suo giorno fortunato. Non lo uccidiamo subito, perché ci serve vivo per qualcosa che ho in testa”. Poi ha aggiunto una frase che mi ha colpito: “Dicono che Dio sia fedele. Se è veramente lui che ce l’ha inviato, non ci tradirà. Gli diamo gli oggetti che abbiamo rubato, affinché li restituisca ai legittimi proprietari. Se riesce a farlo senza che nessuno di noi venga denunciato nel giro di un anno, allora noi seguiremo i suoi consigli”. Qualcuno ha cercato di opporsi al volere del boss, ma questi ha usato della sua autorità per metterli a tacere. Quella notte mi hanno consegnato del denaro, degli oggetti preziosi e persino una pistola rubata a un poliziotto. C’erano pure gli indirizzi dei legittimi proprietari. Ho consigliato loro di tornare a casa, perché Dio li avrebbe protetti. Quindi ho cominciato la mia opera, esattamente come mi avevano indicato di fare. Ho spiegato alle persone che i briganti avevano deciso di pentirsi, e che lo avevano fatto a casa mia. Così io avevo cercato di riconciliarli con Dio e con gli altri. Non posso in ogni caso denunciarli, perché non c’è posto per loro in prigione. Sono stato minacciato in mille modi, ma non ho ceduto. Ancor oggi la polizia mi interroga di tanto in tanto. Ora il più giovane ha ripreso la scuola. Un altro ha superato l’esame finale. Due sono diventati meccanici, due lavorano nella metallurgia. E uno di loro è barbiere.

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