Il Béjart Ballet Lausanne a Torino

La compagnia sta festeggiando un quarto di secolo di attività con una lunga tournèe mondiale. Prevista anche una tappa in Italia, al teatro Regio di Torino, fino al 14 dicembre    
Bejart Ballet Lausanne

Ci sono balletti che, nati moderni, il tempo li ha trasformato in classici. Fra questi il "Sacre du printemps", “L’oiseau de feu” e “Bolero”, di Maurice Béjart. Titoli non consunti, e per niente logorabili. Fu dopo il trionfo del “Sacre”, nel 1959, che il coreografo marsigliese si insediò a Bruxelles. Qui diede vita alla leggendaria compagnia del Ballet du XXème Siècle, entrata nel mito come i danzatori che ne fecero parte. L’ultima tappa della lunga storia artistica del geniale coreografo è stata Losanna dove costituì il Béjart Ballet Lausanne. Oggi, dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 2007, la compagnia è nelle mani di Gil Roman, già interprete prediletto, poi direttore aggiunto, dal 1993, e infine designato dallo stesso Béjart come suo successore nel 2007. La compagnia sta festeggiando un quarto di secolo di attività con una lunga tournèe mondiale, con una tappa anche a Torino, al Teatro Regio, con due programmi lungo quindici giorni. Tra cui, oltre a due novità italiane, “Syncope” coreografia di Gil Roman, e il dittico “Light” di Béjart, i tre capolavori citati.

Staccandosi del tutto dal clima fiabesco russo, nell'"Oiseau de feu" Béjart utilizzò la suite del balletto della smagliante partitura originale e ne fece, nel 1970, un simbolo dei valori di libertà del mondo giovanile. Prendendo a modello la Fenice, l'uccello immortale che rinasce dalle sue ceneri, immaginò una vicenda di lotta di liberazione identificando il poeta come il rivoluzionario. Il balletto, col suo messaggio dell'eroe che rinasce alla morte per indicare la via per la libertà, acquista la consapevolezza di una sfida senza tempo. Le divise grigie dei partigiani che lottano, l'eroe che cade, e tutti che si rialzano, che si stringono l'uno all'altro nel rosso acceso dei costumi e dell'immenso sole nell'apoteosi finale con mille altre fenici, hanno un potere evocativo che non necessita più, come all'epoca, di sottolineature politiche.

Tradotto nella trasgressiva e musicalissima versione bejartiana nel 1959, il "Sacre du printemps" è una creazione di danza classica astratta, sobria nel vocabolario, ma potente. Con questa rivoluzionaria creazione, che si discostava dal libretto originale della partitura di Stravinskij coi suoi riti pagani, e privata di ogni aspetto folklorico, Béjart lanciò un messaggio di fiducia, di vita piuttosto che di morte. Un inno all'amore fra uomo e donna che lo celebrano in una comunità invasata, con due schieramenti, maschili e femminili. Di travolgente forza ritmica è ancora modernissima nel suo disegno coreografico, dal respiro tellurico che la concezione di Béjart rende ancora di grande impatto. La stringatezza e la forza del suo linguaggio è qui concentrata particolarmente sulle masse che si scontrano e incontrano in un primigenio impatto fra creature umane. La coreografia evidenzia la prepotenza della danza maschile contrapposta alla fragilità di quella femminile. Senza più il sacrificio umano dell'Eletta, rimane, pur in altra forma, l'idea cosmica riscontrabile nella reiterazione dei cerchi magici e il senso di panico della vita dopo il letargo. Tutto danzato nello spirito della partitura barbarica di Stravinskij, Béjart ne fa una sorta di apoteosi dell'amore. Un successo.

Béjart Ballet Lausanne, Orchestra del Teatro Regio diretta dal maestro Nicolas Brochot. Torino, Teatro Regio, fino al 14 dicembre.


 

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