Il Beethoven di Kurt Masur
Nella sua interpretazione della Sinfonia "Pastorale", il senso della natura come mondo armonioso e unitario.
A Roma, fino al 24 settembre, è Beethoven il protagonista dell’integrale delle sue sinfonie dirette, all’Accademia di Santa Cecilia, da Kurt Masur. Erede della grande tradizione dei direttori tedeschi, 80 anni ben portati, vigile e per nulla autoritario, parla all’orchestra con la sua sola presenza. Ascoltando la sua interpretazione della Sesta Sinfonia “Pastorale” (anni 1807-1808) si ha l’idea di un modo di accostarsi a Ludwig molto diverso da quello consueto, anche da parte dei direttori italiani come un Giulini, un Abbado, un Muti.
Masur non privilegia il canto, la linea melodica, la chiarezza fin troppo solare e nemmeno la vena elegiaca, evidente nella Scena preso il ruscello del secondo movimento, così ondeggiante tra ricordi onomatopeici di fronde, acque, uccelli. E il suo Temporale non è la catastrofe universale di un Karajan né il dramma apocalittico di un Furtwangler.
Masur ha della sinfonia l’idea di un coro compatto, chiede e ottiene un suono corposo dall’orchestra sempre straordinaria come puntualità e fraseggio, non indulge a “rubati” romantici. Piuttosto trasmette il senso della natura come di un mondo unitario, dove ogni voce si inserisce armoniosa, essendo sé stessa (basti sentire l’oboe, il flauto, il clarinetto come escono limpidi nei loro interventi) e nello stesso tempo ordinatamente avvolta nell’insieme. La natura è un corpo vivente dentro un cosmo dolce e forte. Masur trasmette un sentimento di pace che è proprio quello che Beethoven cercava e trovava andando a passeggiare per ore in mezzo ai boschi e alle acque e fermandosi a prendere appunti su un quaderno delle idee musicali che gli nascevano.
Masur coglie l’anima del grande musicista: nessun sentimentalismo, ma una virile amore per l’universo. E l’orchestra ceciliana si è trasformata, cantando, com’è della vocazione italiana, non da solista, ma con la coscienza di essere un organismo sonoro fuso e lieve. Sarebbe forse piaciuta al grande Ludwig. Certo, il pubblico ha riposto con un silenzio “religioso”, come quando si è di fronte alla verità dell’arte.