Il Beethoven di Herreweghe
Il maestro fiammingo apre la stagione della Istituzione Universitaria dei Concerti a Roma con la Settima e la Quinta Sinfonia. Esecuzione trascinante e un successo meritato
L’Orchestre des Champs Elysées è una formazione che Philippe Herreweghe dirige da anni con passione amorosa. Usa strumenti originali, nel caso soprattutto ottoni e legni. Punta a rispettare le indicazioni del metronomo nei tempi beethoveniani, per quanto è possibile. Impresa ardua, a cui sono tentati diversi direttori, come Riccardo Chailly, che di recente ha inciso le Nove Sinfonie secondo i tempi e le dinamiche pensati dal grande Ludwig.
Herreweghe apre la nuova stagione della Istituzione Universitaria dei Concerti a Roma con la Settima e poi la Quinta. Pubblico fitto ed entusiasta come ad ogni esecuzione beethoveniana. La direzione del maestro fiammingo è precisa, gli stacchi netti, i tempi corretti. Nella Settima la chiarezza dei passaggi fra le sezioni dell’orchestra è esemplare, e si colgono sfumature in genere sfuggenti. Il secondo tempo, il celebre Allegretto, è giusto, non troppo lento come una marcia funebre (come è trasformato da alcuni direttori), ma un intermezzo delicato e dolente in una sinfonia i n cui l’ultimo movimento è una danza frenetica di ritmi quasi cosmici. La Quinta, fin troppo famosa, riesce meglio nel secondo movimento, quell’Andante con moto che è il cammino dell’uomo, deciso,i n mezzo alle tempeste della vita.
Esecuzione trascinante, precisa. Mancano però le sfumature, i colori. E, occorre dirlo, il suono fin troppo tenue dei legni non si amalgama sempre con gli archi e negli assoli risulta troppo liquido. Va bene la filologia, ma allora dev’essere impressa a tutta l’orchestra, non solo ad alcune sezioni. Successo meritato, comunque. Beethoven fa sempre centro.