Il Barocco trionfa a Roma
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Barocco, che passione. Travolgente, fantasioso, astratto: moderno. Anche enigmatico. Spesso immobile, perché il moto è soprattutto vocale con arditezze canore spregiudicate. Così il concerto dei tre “controtenori”, gli eredi attuali degli antichi “castrati”, l’israeliano Aryeh Nussbaum Cohen – voce incantevole, fresca e potente -, gli italiani Raffale Pe – notissimo, un mago del virtuosismo – e Carlo Vistoli – anch’egli voce dai melismi molto belli – hanno cantato arie da Vivaldi ad Haendel, da Vinci a Porpora da Brioschi a Gluck finendo con il Rossini del Tancredi. Rossini, l’ultimo innamorato del canto acrobatico, stellare. Seduzione canora e pubblico acceso.
Nel Giulio Cesare in Egitto del 1724 i tre hanno confermato le loro doti canore e attoriali grazie alla regia tra simbolismo e minimalismo di Damiano Micheletto. Autore non sempre intonato con alcune opere, ma qui intelligentemente ha usato la fantasia barocca del “senza tempo” o meglio del “tempo sospeso musicale” (come negli affreschi del Tiepolo) per rivisitare tra classicità e contemporaneità una storia d’amore nota, tra Cesare e Cleopatra. Fin dalla ouverture Cesare appare avvolto da una ragnatela di filo rosso inestricabile mossa dalle Parche che poi vedremo in scena.
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La morte sanguinosa è sempre all’orizzonte. Micheletto inscena un ambiente pallido, lunare, latteo come l’arte settecentesca spesso, in cui muove i personaggi in abito attuale come in un thriller politico insieme ad altri classicamente paludati. Pompeo, ucciso da Tolomeo, deve essere vendicato dal figlio Sesto. Perciò Pompeo è quasi onnipresente con il suo fantasma “doppio” che lo segue, lo accompagna (il bravissimo Matteo Munari, di raffinata musicalità e nobile presenza scenica) dovunque, finché il figlio non avrà il coraggio di vendicarlo e di riparare al tentato stupro della madre Cornelia da parte del Faraone.
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Tutto finisce in bellezza, come usa il ‘700, Cesare incontra Cleopatra, si rappacifica con Sesto, Tolomeo viene ucciso con violenza (troppa, stona col barocco) dopo tempeste furenti. I fili rossi delle Parche verranno alla fine tagliati da Cleopatra in modo che la lieta conclusione venga assicurata e l’amore con l’onore trionfino.
La musica è bellissima nelle arie, nei duetti, nei lamenti e nei furori con assoli meravigliosi anche di strumenti solisti, come il corno. Del resto, l’orchestra risponde sostanzialmente bene alla direzione viva di un esperto come Rinaldo Alessandrini. Il canto vola – le voci femminili sono un valore a parte per freschezza e tenuta, Sara Mingardo (Cornelia), Mary Bevan (Cleopatra) – l’orchestra lo colora, le scene pulsano vita e la regia spettacolarizza la staticità barocca in un dramma amoroso tra nostalgia passione e furore che infiamma il pubblico. Da ripetere.
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