Il bambino cattivo
La storia di un bimbo conteso tra due genitori troppo occupati a farsi la guerra per capire le conseguenze di un rapporto difficile sul loro figlio. Rai uno, nella giornata mondiale dell'infanzia offre un film di riflessione del regista Pupi Avati. Lo abbiamo intervista e gli abbiamo chiesto come è nata questa pellicola.
Nella sua esperienza quali sono le conseguenze del dissolvimento della coppia sui bambini?
«I bambini sono delle vittime innocenti dell’inadeguatezza dei genitori che nella loro follia, nel loro combattersi non si rendono conto delle conseguenze che causano nei loro figli. Conosco molte coppie in questa situazione in cui i genitori hanno rinunciato a sacrificarsi e i loro bambini pagano un prezzo psicologico elevatissimo».
Cosa ha ispirato la scrittura di questa pellicola?
«L’idea nasce dall’andamento generale della famiglia in occidente e in Italia. Sono sotto i nostri occhi, tutti i giorni, miriadi di divorzi, in molti casi anche giustificati quando ci sono situazioni di persone disoneste, disturbate mentalmente, ma in molti altri casi come l’incompatibilità caratteriale, assolutamente superabili. Sono sposato da 49 anni e, per esperienza, dico che i problemi nella coppia si possono risolvere senza che i figli finiscano in centri di assistenza o in case famiglia».
Un film che ha sentito, in qualche modo, necessario?
«Mi sono documentato per il film e sono venuto a conoscere centinaia di casi drammatici, di bambini che i giudici definiscono “abbandonati”. È uno stigma che condiziona il bambino per tutta la vita. È quindi un film necessario, destinato a smuovere le coscienze, realizzato in uno stato di grande sofferenza e di partecipazione personale per i tanti casi reali che ho conosciuto».
Da cosa nasce la crisi della famiglia ne “Il bambino cattivo”?
«Ho voluto che i genitori, interpretati da Luigi Lo Cascio e Daniela Finocchiaro, fossero due docenti benestanti che hanno appena acquistato una nuova casa, proprio per dire che la debolezza della struttura familiare non è economica, il disagio non nasce dalla povertà, ma dall’inadeguatezza a reggere la responsabilità di aver generato un figlio. Quando chiedo ai miei assistenti alla regia, giovani poco più che ventenni: “Qual è la cosa che più desiderate?”. Mi rispondono: “Che i nostri genitori tornino insieme”. Non mi si venga allora a dire che la separazione è indolore e che si possa solo essere amici dei propri figli. Sposarsi è faticoso: significa sopportarsi, superare le incompatibilità».