Il ’500 a Firenze
Deposizione del Rosso viene da Volterra: un urlo stridente, tinte dissonanti, forme “cubiche”, disperazione anticlassica e un cielo plumbeo. Solo il Cristo ha il volto dolce della Pietà vaticana. Il Compianto del Pontormo, da Santa Felicita in Firenze, è un lamento velato di lacrime sbigottite. Solo la sublime musica dello Stabat Mater di Pergolesi lo può commentare. Il corpo perlaceo del Cristo viene calato da un cielo metafisico, tra pianti e sospiri rosa-azzurri cangianti, come ha insegnato Michelangelo. La Pietà del Bronzino, da Besançon, è una preghiera cristallizzata in colori di ghiaccio e di perla, col fuoco bruciante di una visione intellettuale piena di amore.
Tre capolavori, tre geni. Ma Firenze offre altro, non dimentica il culto rinascimentale e classico del corpo umano. Ci pensano gli scultori. Cellini scolpisce un Apollo e Giacinto di sensualità ellenistica, Giambologna un Crocifisso bronzeo di plastica fortezza e un Mercurio volante nell’aria, l’Ammannati un gruppo gigantesco dove Ercole soffoca Anteo.
Ma non ci sono solo loro. Le schiere di artisti presso la corte medicea di Cosimo I e Francesco I producono lavori insigni, e sarebbe offensivo chiamarli “minori”. Penso al Vasari, al Salviati che dipinge un Amore e Pische già barocco nell’eleganza e nel calore e al Compianto di Pietro Candido, forse l’unico che ha capito il mondo espressionista del Rosso. Tra il sogno classico che svanisce nell’arte devota della Riforma cattolica, nella seconda metà del secolo, c’è ancora posto per sperimentazioni stilistiche ardite, come nello Studiolo di Francesco I, il granduca alchimista, a Palazzo Vecchio. Una generazione di pittori, Allori e Vasari in testa, ha evocato il mondo sulfureo della ricerca in forme di squisita raffinatezza. Vale la pena scoprirlo.
Il Cinquecento a Firenze. Maniera Moderna e Controriforma. Palazzo Strozzi, fino al 21/1/2018 (cat. Mandragora)