Il “femminile” nel Corano

Khadija, la prima moglie del Profeta e Aisha, la giovane moglie; Fatima, figlia di Muhammad; Agar, la concubina di Abramo. Sono i quattro ritratti femminili di cui ci parla il Corano e attraverso i quali si delinea la visione della donna nell’Islam. Il contributo della teologa iraniana Shahrzad Houshmand Zadeh al volume L’islam spiegato a chi ha paura dei musulmani, a cura di Michele Zanzucchi (Città Nuova, 2015)
l'islam spiegato a chi ha paura dei musulmani

Lo spirito coranico presenta le differenze tra gli esseri umani come un disegno divino. La diversità viene presentata come un dono per una conoscenza maggiore e reciproca tra uomo e donna.

L’uniformità non è condizione necessaria all’unità e alla pace, ma lo è la convivenza armoniosa. Per diversità si intende la differenza sessuale, corporale, linguistica, culturale e anche religiosa.

Sono diversi i versetti che spiegano questa realtà. Ne esaminiamo quattro.

«Oh uomini, vi abbiamo creati da maschi e femmine, vi abbiamo costituiti in popoli e tribù perché vi conosciate a vicenda. Il più nobile tra di voi presso Dio e colui che meglio custodisce» (49, 14).

Il Corano parte dalla prima diversità, quella sessuale, per poi affrontare le diversità tra popoli, tribù e nazioni. L’obiettivo finale è in ogni caso la conoscenza reciproca «perché vi conosciate a vicenda». Non vi è nessuno superiore all’altro, mai, per nessuna ragione. L’unica vera nobiltà consiste nel custodire la bontà e la purezza interiore e nell’essere giusti. Essere uomo o donna non è in sé motivo di superiorità.

Il secondo versetto evidenzia l’unità essenziale dell’essere umano.

La simbologia coranica nel racconto della creazione descrive la creazione iniziale di una sola persona: nafs in arabo significa persona, individuo, ed è una parola femminile. Dopo la creazione della singola persona, ecco la presenza dell’essere umano come coppia: «Oh gente, temete il Signore che vi ha creato da una sola persona (nafs) e da essa ha creato la coppia e dei due ha fatto sorgere molti uomini e donne» (Sura delle donne, 4, 1).

[…]

Il terzo versetto libera la donna dal peso del peccato originale. Il Corano ricorda il peccato dell’uomo nel giardino in un tempo remoto. Questo peccato non solo non è attribuito alla donna, ma al contrario nel momento del perdono si ricorda che solo Adamo ha dovuto porre le sue scuse al Signore: «E noi dicemmo: “Adamo dimora nel giardino, tu e la tua sposa, e nutritevi ovunque come volete. Ma nessuno di voi due si avvicini a quest’albero: sareste allora entrambi tra gli iniqui”. Poi Satana li fece inciampare e uscire da dove si trovavano. Poi Adamo ricevette delle parole dal Signore.

Certo Egli è colui che accetta il pentimento, il Misericordioso» (2, 35-36). Entrambi dimorano in pace, armonia e unità. Lungo il loro cammino sbagliano ma, a differenza del racconto biblico, la colpa è attribuita al maschio. Continua ancora il Corano: «Satana gli disse sussurrando: “Adamo, ti condurrò all’albero dell’immortalità e a un regno imperituro”. Entrambi ne mangiarono, la loro nudità apparve loro, si coprirono con le foglie del Paradiso. Adamo disobbedì al Signore e si perse» (20, 120-122). In questa lettura si evidenzia una differenza interpretativa teologica tra l’Islam e il Cristianesimo: la misericordia del Dio coranico perdona il peccato subito: l’essere umano nasce senza peccato e moralmente non bisognoso del battesimo iniziale.

Nel quarto versetto il Corano, per essere ancora più diretto, usa parole sia al maschile che al femminile. Si rivolge spesso agli esseri umani con parole come nas (gente), insan (essere umano) oppure nafs (persona) che non hanno specificità di genere e sono comuni per donne e uomini. Il Corano chiede a entrambi carità, giustizia, sincerità e purezza, e promette eguale ricompensa. Per confermare questa uguaglianza, in alcuni versetti il testo presenta le formule nominando insieme il maschile e il femminile: «I musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, gli oranti e le oranti, i veritieri e le veritiere, i perseveranti e le perseveranti, gli umili e le umili, i caritatevoli e le caritatevoli, quelli e quelle che sono temperanti, quelli e quelle sessualmente morigerati, quelli e quelle che ricordano sovente Dio. A costoro Dio ha riservato indulgenza e una ricompensa magnifica» (33, 35).

[…]

Una figura di primaria importanza nella vita del Profeta è Khadija, la sua prima moglie. Era più anziana di Muhammad di quindici anni, ma si innamorò di questo giovane allora venticinquenne quando non era né Profeta né Messaggero, ma soltanto un semplice uomo.

Khadija era una commerciante, vedova e madre di numerosa prole: fece una proposta di matrimonio al suo collaboratore, riconoscendo qualcosa di particolare in lui. Si tratta quindi di una figura femminile forte, attiva, molto importante nella tradizione islamica perché fu la prima persona in assoluto a credere in Muhammad. Quando Muhammad ebbe quarant’anni, dopo le visioni e le voci iniziali, era solamente lei che lo confortò e lo rincorse convincendolo che i fenomeni ai quali aveva assistito nella grotta di Hira durante le devozioni non erano di origine diabolica ma divina. A ragione Khadija porta il titolo onorifico di “madre dei credenti” e al-kubra, “la più grande”.

Muhammad l’amò profondamente e solo quando nel 619, dopo venticinque anni di matrimonio, lei morì, sposò altre donne.

Anche la giovane moglie Aisha è una presenza significativa nella storia dell’Islam, sia durante la vita del Profeta che dopo. Aisha discuteva di problemi relativi alla tradizione, ragion per cui oggi le siamo debitori di un gran numero di notizie. Aisha è una delle figure importanti per la trasmissione della tradizione islamica sunnat annabii, soprattutto nelle scuole di tradizione sunnita.

La terza figura femminile fondamentale è la figlia del Profeta, Fatima, figlia di Muhammad e Khadija, unica erede perché Muhammad ebbe altri figli che morirono quando lui era ancora in vita. Fatima era molto presente nella vita del padre sia umanamente che spiritualmente. Su di lei riversò un amore che era visibile a tutta la comunità. Venne da lui definita spiritualmente ummi abiha, “madre del proprio padre”. Sayyed o Sharif sono termini onorifici che nella tradizione islamica si attribuiscono ai discendenti del Profeta figli di Fatima. È significativo che sia una donna a tramandare la discendenza del Profeta nel mondo musulmano. Fatima è modello amato da sunniti e sciiti con titoli onorifici quali: batul, “vergine”; zahra, “luminosa”; seddigha, “santa e sincera”; ma’suma, “immacolata”.

È una figura di centrale importanza teologica per la lettura sciita. L’anello tra la santità wilaya e la profezia nubuwwat. Oltre alle donne presenti nella vita familiare del Profeta, egli ha messo in rilievo la figura di una donna meravigliosa, il cui cammino è talmente importante da richiedere ai suoi fedeli di compiere il pellegrinaggio a La Mecca in sua memoria. Anzi, nel compiere il rito religioso solenne invita a imitare lo sforzo umano di grande valore che questa donna ha operato tanti secoli prima.

Si tratta di Agar, la concubina di Abramo, una schiava, una donna abbandonata dallo stesso Abramo, profeta di Dio insieme al loro figlio piccolo nel deserto, senza cibo e senza acqua, col divieto di tornare in città. Una donna sola e povera, abbandonata e condannata a morire insieme al proprio figlio. Il Profeta Muhammad definisce questa donna come un esempio concreto di fede, coraggio, speranza, fede incrollabile e volontà umana. Una donna che, nonostante tutto, non si arrende ma compie l’unica cosa che può fare in quella situazione: correre per trovare acqua e vita per suo figlio. In quella terra deserta vi erano due colline: Safa e Marwa (tuttora cosi chiamate).

Agar cominciò a correre dall’una all’altra con la speranza di trovare acqua per il figlio assetato. La tradizione islamica racconta che Agar corre sette volte tra queste due colline fino al momento in cui la sua speranza incontra la vita nell’acqua che scorre nel deserto grazie a un miracolo compiuto dalla sua fede. Ancora oggi i musulmani bevono da una sorgente a La Mecca chiamata Zam Zam in ricordo di lei. Secondo la tradizione islamica, La Mecca, oggi città santa per un miliardo e mezzo di musulmani del mondo, ha trovato vita grazie ai passi di fede e speranza di questa grande donna di nome Agar. Il Profeta Muhammad insegna ai suoi discepoli a camminare anch’essi sette volte tra le due colline durante il rito solenne religioso del pellegrinaggio Alhajj, ricordando e imitando esattamente quella donna, apparentemente schiava e abbandonata ma profondamente autentica e libera. Madre della fede.

 

Michele Zanzucchi, L’ISLAM SPIEGATO A CHI HA PAURA DEI MUSULMANI (Città Nuova, 2015) pp. 136  € 14,00

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