Ignorati, condannati e respinti: perché?
Sono oltre 232 milioni (più del 3% della popolazione mondiale) le persone che hanno lasciato il proprio Paese per vivere in un’altra nazione. Le stime del medio periodo sostengono che nell’arco di 25 anni il numero dei migranti raddoppierà e si andrà ad attestare sui 400 milioni nel 2040. Da ciò l’urgenza e la necessaria consapevolezza, socio-umanitaria e pastorale, di istituire e predisporre una sorta di concreto “diritto alla mobilità umana” e una “mondializzazione della solidarietà”, sia in termini giurico-amministrativi, sia in senso etico-umanitario. Il Rapporto immigrazione 2013 che in queste settimane sta percorrendo l'Italia per analizzare lungo le varie tappe i fenomeni migratori parla chiaro: serve un'accoglieza organizzata anche sulla scia dei recenti appelli di Papa Francesco e del ministro per l’integrazione Kyenge,
La mobilità umana nell’Europa della crisi Le migrazioni non sono scomparse con la crisi e con recessione, anche se quest’ultima ha registrato la chiusura di una straordinaria fase di crescita rispetto ad un passato recente. Il numero totale di stranieri residenti nel territorio di uno stato membro dell’UE si attesta sui 33,3 milioni di persone (pari al 6,6% della popolazione dell’Unione Europea). Più di un terzo (12,8 milioni di persone in totale) è costituita da cittadini di un altro stato membro dell’UE.
Il numero più elevato di stranieri residenti nell’UE si registra in Germania (7,2 milioni), Spagna (5,6 milioni), Italia (4,6 milioni), Regno Unito (4,5 milioni) e Francia (3,8 milioni).
In questi cinque Stati membri, gli stranieri residenti rappresentano complessivamente il 77,3% del totale di stranieri presenti nell’UE.
L’immigrazione in Italia, luoghi comuni da sfatare Su una popolazione italiana che conta oltre 59 milioni e mezzo di persone, circa 4 milioni e 400 mila (7,4%) sono di cittadinanza straniera. Con una particolarità: ogni 10 cittadini stranieri residenti, circa tre sono comunitari, cioè provenienti da altri Paesi membri dell’UE.
I cittadini e le cittadine della Romania rappresentano la più significativa comunità immigrata (un milione di residenti, pari al 21% del totale). Seguono quella albanese (10,6%), quella del Marocco (9,9%), la cinese (4,6%); e poi, a seguire (con percentuali che si aggirano sul 3 e 2%) Ucraina, Filippine, Moldova, India, Polonia e Tunisia. Il 49,3% sono donne e il 24,1% minori, con un’alta componente di quelli non accompagnati (MNA): 6.537 unità, di cui 423 donne e 6.114 maschi.
I rischi e le conseguenze di sfruttamento (prostituzione, accattonaggio forzato, spaccio di droga) e negazione dei diritti umani fondamentali sono sotto gli occhi di tutti, come dimostrano le testimonianze delle associazioni ecclesiali parrocchiali e del volontariato; nonché le riflessioni e le prese di posizione di non poche e insospettabili personalità laiche della cultura e della società civile.
Dove vivono e cosa fanno? In senso geografico-territoriale, sono presenti soprattutto nel Nord Italia (61,8%), nel Centro (24,2%), al Sud e nelle isole (14%), prevalentemente nei capoluoghi di regione e nelle grandi città. Per quanto riguarda la casa, il 54,4% degli immigrati vive in case in affitto indipendenti (solo o con parenti), il 26,2% in affitto condiviso con altri immigrati o sul luogo di lavoro, il 17,1% in case di proprietà, il 5,2% in alloggi temporanei e l’1,1% in alloggio non dichiarato.
Per quanto concerne i settori di inserimento lavorativo, sul totale dei lavoratori italiani, la presenza di lavoratori stranieri, concentrata in settori usuranti e pericolosi, a bassa remunerazione e alta precarietà, è particolarmente rilevante nel settore edile (18%), in agricoltura (13%), nei servizi (10,4%), nell’industria in senso stretto (9,2%) e nel commercio (6,2%). Se nel settore dell’industria e delle costruzioni si registra una contrazione delle domande di lavoro, in altri ambiti, come i servizi alla persona (con baby sitter, colf e badanti), e della ristorazione (pizzaioli, cuochi, camerieri, custodi), l’occupazione continua a crescere, anche se in misura contenuta. E ciò è da scrivere ad un modello di sviluppo che ha incautamente e pericolosamente imboccato, anche per i lavoratori italiani, una “via bassa” – economicamente miope e socialmente imprudente – delle politiche occupazionali, puntando per ora sulla contrazione del costo del lavoro più che sulla creazione di nuova occupazione e sull’innalzamento della produttività.
Appartenenza religiosa degli immigrati: liberi di credere? Il riferimento di una pluralità di religioni, fedi e credenze degli immigrati, rispetto al cattolicesimo, mostra come stia mutando la geografia socio-religiosa dell’Italia. Le oltre 200 diverse nazionalità di provenienza degli immigrati in Italia, sono un indizio inoppugnabile che le differenze di religione hanno dimora accanto alle nostre porte. Come d’altra parte è fuorviante far credere che le presenze multi-religiose costituiscano un attentato o un pericoloso cedimento all’identità cristiano-cattolica del nostro Paese, come talvolta sostengono alcune componenti della classe politica nostrana, non di rado strumentalmente attenta a non “alterare” i rapporti con la Chiesa cattolica. Come risulta essere una assoluta menzogna parlare di “invasione islamica ”.
E ciò lo evidenzia proprio il Rapporto di Caritas-Migrantes, quando esamina i luoghi di culto delle presenze religiose in Italia, evidenziando il riferimento religioso di provenienza, che si attesta prevalentemente in ambito cristiano-cattolico: su un totale di 2.775 luoghi di culto, 850 fanno riferimento a chiese neo-pentecostali africane, 750 a comunità cattoliche, 355 a chiese ortodosse, 655 all’Islam, 126 al buddismo, 37 ai sikh e 2 all’Induismo.
E’ evidente che il pluralismo religioso è ormai un dato di fatto, che il dialogo e l’unica forma di possibile e auspicabile convivenza multireligiosa, e che il riconoscimento giuridico e politico della libertà religiosa e di coscienza non possa che sancire concretamente un fondamentale diritto della persona umana. E ciò, nella Chiesa cattolica, nelle comunità locali e tra coloro che si professano credenti, sembra aver preso fiato un cammino responsabile, non solo percorrendo i concreti sentieri di ammortizzatori sociali del disagio ma anche spendendosi come mediatori interculturali e, di fatto, anche interreligiosi fra fedi diverse.
Infine, uno sguardo più attento su alcune tematiche “bollenti” e “spinose”, prese in considerazione dal Rapporto, che investono il fenomeno immigrazione: immigrati=criminali e allarme sociale; il reato di clandestinità, i centri di detenzione e di espulsione.
Il binomio immigrati=criminali, da sfatare e da respingere, è certamente quello che si presta a maggiore strumentalizzazione politica e mediatica; e che desta più allarme sociale. In realtà le forme che assume la devianza fra i cittadini stranieri – che vanno comunque condannate, alla stessa stregua dei reati commessi da cittadini italiani – sono determinate da alcune linee di tendenza comuni e verificabili: gli immigrati sono oggetto di squallida manovalanza per reati scarsamente remunerativi e più “visibili”; e, principalmente, si tratta di devianza ricollegata alla precarietà delle condizioni di vita degli stessi immigrati. Nonché a forme di pretestuosa ostilità xenofoba, che non di rado sfocia in vero e proprio razzismo. Sono, inoltre, sottoposti ad un maggiore e forzato controllo delle forze dell’ordine.
C’è poi il controverso tema dei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e del più ampio sistema dei Centri per immigrati (Centri di Soccorso e di Prima Accoglienza-CIPSA; Centri di Accoglienza-CdA; Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo-CARA). Questi CIE, più che far fronte al controllo delle frontiere e alla regolazione dei flussi migratori, – sottolinea il Rapporto – assolvono una funzione “sedativa” e “ghettizzante” delle ansie di chi percepisce la presenza straniera come un pericolo per la sicurezza sociale. Senza sottovalutare altri due aspetti: il non rispetto dei diritti e delle garanzie umanitarie e costituzionali, nazionali e internazionali di queste forme detentive (“una grande gabbia con all’interno altre gabbie – come ha tuonato il senatore Manconi – che puniscono esseri umani scampati alla morte in mare; e che, con un linguaggio perverso, da destra e da sinistra, vengono apostrofati “clandestini”!); e in secondo luogo, l’aumento dei termini di trattenimento nei CIE (fino a 18 mesi), causando fra l’altro la contrazione del numero di soggetti rimpatriati dopo il trattenimento e un aumento dei costi di mantenimento dei CIE, in termini squisitamente economici e di spesa. In breve, una questione che investe direttamente ormai l’antistorica e superata Legge Bossi-Fini sull’immigrazione.
Da ciò il sollecito a chiudere questi Centri dirottando le ingenti somme destinate a questi Centri al rafforzamento delle politiche di integrazione e alla valorizzazione dell’eventuale e protetto rimpatrio assistito. Proposta avanzata da Caritas Italiana e Migrantes, ma da tradurre in concrete scelte politiche, come auspicato dalla stessa ministra per l’integrazione e dal senatore Manconi.
Tutti hanno potuto verificare che, su questa linea, Papa Francesco ha rincarato la dose:"Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell'umanità- ha precisato il Papa – .Non di rado l’arrivo di migranti e profughi, richiedenti asilo e rifugiati suscita nelle popolazioni locali sospetti e ostilità. Nasce la paura che si producano sconvolgimenti nella sicurezza sociale, che si corra il rischio di perdere identità e cultura, che si alimenti la concorrenza sul mercato di lavoro o, addirittura, che si introducano nuovi fattori di criminalità”. Occorre superare pregiudizi e pre-comprensioni”. Lo stesso Papa Francesco, davanti alla tragedia sulle coste di Lampedusa, non si è trattenuto dal sostenere: « È una vergogna!». Ed esplicitamente rivolto alle comunità ecclesiali ha ammonito: “Anche Gesù fu profugo: è un dovere accogliere i migranti. Diamo i conventi chiusi ai rifugiati”. Chi ha voglia di ascoltare, ascolti, E chi ha orecchie per intendere, intenda.