Ignoranza, erudizione, mezza cultura e cultura
Erano veri ignoranti i contadini analfabeti che anni fa in Toscana recitavano Dante a memoria?
Tra i mali dell’epoca c’è questa terribile confusione, propria delle età di sottocultura, tra le quattro dame citate nel titolo.
L’ignoranza vera e pura purtroppo non esiste quasi più, è malamente surrogata da quel sapere un po’ poco e un po’ niente di cui la responsabile prima è la cattiva maestra televisione, con la sua aria di informarti sempre, mentre ti guida, sì, ma quasi sempre nel vuoto o nel fosso. La vera ignoranza si riconosce per un segno inequivoco: il suo grande amore per la cultura che non ha e desidererebbe avere.
Erano veri ignoranti i contadini analfabeti che ancora poche decine di anni fa in Toscana recitavano Dante a memoria. È vero ignorante-amante della cultura chi dice con rammarico: «Non ho potuto studiare», e non cerca di rappattumare ciò che non sa, perché ne sente la privazione. Per dirla tutta, il campione della falsa ignoranza travestita da pseudocultura che si pretende persino creativa e scopritrice è Dan Brown e chi come lui, mentre non capisce ciò che dice, vuole insegnarlo a chi ne sa incomparabilmente più e meglio di lui. E c’è una situazione anche peggiore: quella di chi lo/li legge.
L’erudizione invece è preziosa: guai al medico che ti ha in cura se non ti sa curare o disinvoltamente ti manda all’altro mondo, guai all’ingegnere che fa cadere i ponti e al pilota che schianta aerei o treni. Magari ce ne fosse tanta in tutti coloro che, dalle umili alle più complesse professionalità, devono fare qualcosa di costruttivo per sé e per gli altri. Ma l’erudizione non è cultura, essendo quest’ultima una visione integrale del mondo, approfondita, ricercatrice e costantemente edificatrice dell’umano, al di là di ogni parziale erudizione e competenza.
Arriviamo, ahimè, alla mezza cultura, flagello e peste di ogni tempo ma del nostro in modo scandalosamente spettacolare: gli onnipresenti tuttologi parlano «di tutto e di qualcos’altro». Rilasciano amabili interviste a scelta sull’origine del mondo, sul papa o sul risveglio erotico delle pulci con equanime disponibilità.
Insegnano il Vangelo agli apostoli (vedi ad esempio Corrado Augias), il nuoto ai pesci e il volo agli uccelli, come quelli che difendono a scatola chiusa l’evoluzione senza evolversi, loro, mai. Il girone della mezza cultura è occupato da moltissimi giornalisti, uomini politici, bestselleristi, scienziati scientisti e pseudofilosofi a cui non basta neppure il nichilismo. La mezza cultura è peggiore persino della pseudocultura, perché questa si smaschera da sola, mentre quella si sente superiore non sapendo a cosa o a chi, imbrogliando si da l’aria di non lasciarsi mai imbrogliare.
E poi c’è la cultura, quella che non si fa avanti e non sgomita e non si fa valere e non trama per la carriera e si vergogna dei premi letterari – io premio te, tu premi me – e non cerca il cavalierato; perché è troppo occupata, lei, la cultura, a correggersi, affinarsi, a estrarre, distillare, elaborare, faticando più di un facchino, e, sì, a contemplare, perché senza contemplazione – non pagata – le parole, anche quelle della cultura, non cessano di avere sapore di chiacchiera.
La cultura non riesce quasi mai a parlare perché il giornalista di turno si è già raccomandato di esporre brevi cenni sull’universo in trenta secondi perché poi c’è il telegiornale.
Ha per la fretta lo stesso fastidio che nutre per l’approssimazione, l’affermazione apodittica (“assolutamente sì!”) e la definizione “esatta”.
Quello che sant’Agostino diceva di Dio: «Si fa cercare perché sia più dolce trovarlo, e si fa trovare per farsi cercare con accresciuto desiderio», lo dice di sé stessa, perché sa, lei relativa, di avere radici assolute di esigenza e di amore.
La vera cultura non è superbamente rigida, è cordialmente fermissima (la differenza è abissale). Alla chiassata del parlare tutti insieme o uno sull’altro preferisce il silenzio e semmai andarsene. Ma è pronta a condividersi con tutti, davvero tutti, se vogliono faticare come lei, e allora scopre che a condividerla di più sono davvero i semplici e gli ignoranti, i bambini e i veri sofferenti che patiscono l’esteriorità del mondo fatto, o sfatto, dagli uomini.