Ignazio Ingrao, perché i giornalisti scioperano
La vertenza tra giornalisti ed editori per il rinnovo del contratto di lavoro si trascina. Ha fatto scalpore il ritiro della firma. Quali le radici profonde del malessere? Questa lunga vertenza ha già fatto registrare un triste primato: il contratto di lavoro dei giornalisti italiani è scaduto da oltre 600 giorni e le parti non si sono neanche sedute al tavolo della trattativa. Poco più di un anno fa è saltata l’ipotesi di un accordo ponte per la parte economica che avrebbe rinviato di due anni la trattativa sulla parte normativa del contratto. Uno dei nodi principali della vertenza riguarda il ricorso al lavoro autonomo e a quello precario. Il sindacato dei giornalisti ha chiesto che la questione venisse messa al primo punto della trattativa. Gli editori invece sostengono che precariato e lavoro autonomo non devono rientrare nella discussione per il rinnovo del contratto. C’è da tener presente che ormai almeno la metà dei giornalisti italiani sono lavoratori a termine o free-lance, cioè lavoratori autonomi, e quasi tutte le testate giornalistiche fanno largo uso di queste due forme di lavoro, in molti casi in condizioni di vero e proprio sfruttamento. A fronte degli integrati, assai ben protetti e per certi versi privilegiati, emerge una vastissima schiera di precari sottopagati e senza diritti. Gli editori chiedono perciò che i primi rinuncino a parte dei loro privilegi per trasferire le risorse economizzate ai secondi.È una via praticabile secondo il sindacato dei giornalisti? Attualmente un praticante appena assunto guadagna circa 800 euro netti e un redattore ne guadagna circa 1.100. Tuttavia gli editori pongono il problema del costo del lavoro giornalistico. Secondo la Fieg (Federazione italiana editori giornali) tale costo sarebbe divenuto eccessivo soprattutto a causa dei cosiddetti automatismi contrattuali, in particolare gli scatti di anzianità che ogni due anni rivalutano lo stipendio dei giornalisti dipendenti. Perciò chiedono il blocco degli scatti di anzianità e una riduzione del 30 per cento del minimo di stipendio. Ma queste misure non andrebbero a vantaggio dei precari e dei free-lance. Per gli editori, infatti, il ricorso a queste due forme di lavoro rimarrà comunque necessario per abbassare il costo di produzione dei giornali italiani. Si comprende come sia in gioco non solo il rispetto dei diritti di chi svolge la professione giornalistica ma anche la qualità e la libertà dell’informazione. Un giornalista pagato pochi euro a pezzo oppure uno che si vede scadere il proprio contratto di lavoro ogni sei mesi, può essere un giornalista libero?. Sembra che il buon senso sia latitante in questo momento di rottura. Si va dalle proposte di abolizione totale dell’Ordine dei giornalisti a quella di uno sciopero ad oltranza. Come riprendere il senso della misura? Le posizioni della Fieg e della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana, cioè il sindacato dei giornalisti italiani) sono molto distanti tra loro. Tuttavia il sindacato dei giornalisti è disponibile a sedersi al tavolo della trattativa senza condizioni. Gli editori invece hanno ribadito di non essere disposti ad aprire la discussione. Il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, il capo del governo, Romano Prodi, il ministro del lavoro, Cesare Damiano, così come numerosi altri rappresentanti delle istituzioni, dei sindacati e persino alcune realtà importanti dell’editoria cattolica (come Avvenire e Famiglia Cristiana) hanno sollecitato la Fieg a sedersi al tavolo della trattativa. Nel tentativo di creare le condizioni per avviare il confronto, il governo ha promosso la creazione di alcuni tavoli paralleli per affrontare singoli aspetti (i cosiddetti tavoli tecnici) ai quali gli editori hanno dato la disponibilità a partecipare: in particolare il tavolo sulla previdenza, sul mercato del lavoro, sul precariato e sugli ammortizzatori sociali. Il governo ha anche chiesto la disponibilità della Fieg a discutere insieme con i giornalisti sulla riforma della legge sull’editoria. C’è solo da augurarsi che il buon senso prevalga e che gli editori raccolgano finalmente la disponibilità dimostrata sia dal governo sia dai giornalisti per discutere sul contratto di lavoro. Le prime vittime di questo scontro infatti non sono i giornalisti ma i cittadini, che vedono messa in pericolo la qualità e la completezza della informazione.