Ignazio di Loyola, il sole dentro

La sua figura di "mistico di luce" emerse solo dopo il Vaticano II. Ce lo racconta Paolo Monaco sj,che nel libro Come un sole (Città Nuova ed.), ha raccolto i pensieri più profondi ed alti del fondatore dei gesuiti
Ignazio di Loyola

«Come dal sole discendono i raggi e tu essendo un raggio, sei un sole». Così Paolo Monaco, gesuita, spiega il perché del titolo Come un sole, il nuovo libro edito da Città Nuova che raccoglie i brani più mistici di sant’Ignazio di Loyola. All’interno del volumetto, la lettura spazia dai brani tratti dalla Autobiografia, agli Esercizi Spirituali, alle Costituzioni, al Diario spirituale fino alle Lettere, rivelando pagine profondamente ispirate da Dio, perché come dice lo stesso Sant'Ignazio: «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente».

 

Un aspetto affascinante del santo basco che siamo abituati a vedere come pellegrino, cavaliere, asceta e fondatore di uno degli ordini più diffusi della storia della Chiesa: la Compagnia di Gesù.

Ma egli, che non fu solo figlio del secolo delle scoperte – nacque nel 1491, un anno prima del viaggio di Cristoforo Colombo –, fu anche figlio di un secolo di mistici, come Giovanni della Croce o Teresa d’Avila. La fondatrice dell’ordine delle Carmelitane scalze, in particolare, fu aiutata «dalla seconda generazione di gesuiti a riconoscere l'autenticità delle sue visioni, memori di quelle del fondatore e formati dalla pratica della contemplazione degli Esercizi Spirituali» continua padre Paolo.

 

È stato un aspetto a lungo inedito quello di Ignazio mistico?

«Solo dopo il Concilio Vaticano II si è iniziato a recuperare la dimensione mistica del santo che si festeggia il 31 luglio. Ignazio visse svariate “notti spirituali” e ciclicamente si chiese: “Cosa devo fare?”. Dopo la straordinaria esperienza di Manresa aveva deciso di stabilirsi a Gerusalemme, ma fu costretto a tornare in Spagna. Fu allora che decise di dedicarsi allo studio, di aiutare gli altri attraverso gli Esercizi spirituali  e di sperimentare assieme ai primi compagni un nuovo stile di vita evangelica. Ma quel testo iniziò a circolare e così venne sottoposto ad otto processi dall'Inquisizione. Forse per questo motivo, dopo la sua morte, l’esperienza mistica di cui molto egli stesso racconta ne l’Autobiografia e nella parte del Diario spirituale  – giunto a noi solo parzialmente –, rimase pressoché nascosta».

 

Per Ignazio, come si caratterizzò questa esperienza mistica?

«Nel periodo di Manresa si trattò di un’esperienza fatta di visioni “di luce”, attraverso le quali Ignazio fu istruito da Dio su alcune fondamentali verità di fede, sulla presenza di Dio in tutte le cose e infine sul discernimento. Da questo punto di vista mistico, il discernimento, sta nel saper distinguere  la luce di Dio da altre luci che appaiono come quella di Dio ma non lo sono. Solo chi è abituato a vedere la luce di Dio, intuisce quale seguire. La visione che in qualche modo fa da punto di riferimento in tutta la sua vita è quella di “Cristo come un sole”».

 

Entrò in depressione?

«Sì, per esempio quando si sentì sommerso dagli scrupoli  per gli errori commessi, proprio mentre sentiva il desiderio di seguire Dio con radicalità. Una depressione fortissima, che lo fece entrare in una spirale di penitenze, ma questo gli permise di vedere ed accettare la sua miseria, la sua umanità. Una tensione che lo lacerò a tal punto da pensare di farla finita. Ma a quel punto Dio lo fece svegliare come da un sogno. Questo momento di buio, e gli altri che verranno dopo – come i processi –, la sua anima veniva lavorata perché risplendesse. E questo percorso, con diverse intensità e sfumature, avviene in ciascuno di noi».

 

L’Autobiografia, che parla molto del momento mistico di Ignazio, ha un’origine che sembra dirla lunga sull’umiltà del santo…

«Si racconta che mentre passeggiava in giardino un gesuita, suo stretto collaboratore, gli avesse confidato un suo momento di crisi, tanto che Ignazio si sentì di condividere con lui un fatto della sua vita, nonostante non fosse avvezzo a parlare di sé. Quel racconto sarà per il gesuita un’esperienza fortissima, tanto da risollevarsi da quel momento. Ignazio capì allora quanto fosse importante, come tutti i fondatori, che comunicasse la sua storia, del come Dio lo avesse guidato verso la fondazione della Compagnia di Gesù, e comprendendo maggiormente il valore della richiesta fatta dai suoi primi compagni di parlarne. A Roma, nelle stanzette che si trovano accanto alla Chiesa del Gesù, sant’Ignazio iniziò il racconto proprio a quel gesuita che aveva aiutato con il semplice fatterello. Ogni volta, il gesuita ascoltava quanto Ignazio diceva e solo al termine del racconto, si recava nella sua stanza a scrivere. Il testo rimane così un momento di comunione tra Ignazio e il lettore, ogni volta».

 

Un consiglio su come leggere queste pagine?

«L'idea di Ignazio era che le persone gustino internamente questa luce, che è poi ciò che gli ha fatto vedere Dio nella sua storia».

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