Identità e dialogo
Dal 21 al 25 agosto si è tenuto in Argentina un simposio ebraico-cristiano. Un ulteriore passo di un cammino iniziato nel 1997 che ha coinvolto ambiti quali il diritto, l'economia e la politica
«Essere stasera qui non rappresenta semplicemente un atto di chiusura ufficiale di una conferenza interreligiosa. È un messaggio a tutti i Paesi che vivono nella democrazia, a Paesi che rispettano e promuovono le diversità che li compongono, garantendo loro uno spazio e possibilità di espressione, accogliendoli in un progetto comune. È una speranza per la libertà dei loro cittadini». Così la rabbina Silvina Chemen ha concluso il suo intervento presso la Cancelleria, il modernissimo palazzo di vetro a fianco della sede in stile francese liberty che accoglie il ministero degli Esteri della Repubblica Argentina. Si è trattato dell’atto istituzionale conclusivo del IV simposio Ebraico Cristiano, tenutosi nel Paese sudamericano, dove ha sede una delle più grandi comunità ebraiche del mondo.
Nella capitale federale argentina Chiara Lubich nel 1997 incontrò un gruppo di ebrei della B’nai B’rith, e da allora i rapporti fra i Focolari e rappresentanti della comunità ebraica sono cresciuti e si sono approfonditi. Per questo nel 2009 i rappresentanti argentini alla conferenza tenutasi a Gerusalemme avevano esteso a tutti l’invito a tenere il convegno successivo a Buenos Aires.
Un’ottantina di partecipanti – provenienti da Israele, Italia, Svizzera, Irlanda, Usa, Cile, Perù, Uruguay e Argentina – sono convenuti nella cittadella dei Focolari a O’Higgins, trecento chilometri a ovest della capitale federale, sulla grande arteria che collega Argentina e Cile. Da parte ebraica erano rappresentati vari aspetti dell’ebraismo: ortodossi, conservatori e riformati, fra loro vari i rabbini. Il tema – Identità e dialogo: un cammino che continua – ha ripreso quello dei convegni precedenti, sottolineando che il vero dialogo non può andare a scapito delle identità, ma, anzi si fonda proprio su di esse. Al contempo ha voluto mettere l’accento su un aspetto, la continuità, che spesso manca all’impegno interreligioso, nell’ambito del quale non sono pochi gli avvenimenti significativi e di impatto mediatico, che restano eventi una tantum, senza un vero seguito. Quanto è emerso è stato lo spirito che ha animato dibattiti e convivenza: una conferma della strada fatta insieme, che ha permesso, negli anni, di costruire una fiducia reciproca ormai incrollabile.
Non sono mancati, infatti, snodi delicati in cui è emersa la differenza. Tali momenti, potenziali occasioni di tensione, hanno offerto l’opportunità per sperimentare quanto le differenze siano ormai superate dal sentirsi tutti parte della stessa famiglia. L’impegno di un decennio e più a costruire ponti di dialogo ha cancellato dubbi, sospetti, paure e pericolosi luoghi comuni. Non solo: apertura all’altro, condivisione ed empatia umana e spirituale hanno cementato ulteriormente anche i rapporti intracomunitari. Il cammino fra identità e dialogo, quindi, non solo prosegue, ma si sta consolidando.
Lo dimostra, fra l’altro, anche il fatto che queste conferenze non sono solo un esercizio teologico o accademico, ma stanno coinvolgendo ambiti umani e culturali come il diritto, l’economia, la politica, la pedagogia e l’arte. Si tratta di settori dove il dialogo fra ebrei e cristiani sta portano risultati tangibili per il bene comune e la formazione alla pace o alla soluzione di conflitti. Particolarmente importante il contributo dei giovani, che hanno presentato la propria esperienza offrendo uno spaccato d’impegno a diversi livelli, sia personale che di gruppo, offrendo la certezza che tale impegno può continuare perché c’è chi si è già incamminato su questa strada.
Identità e dialogo, dunque, non sono categorie inconciliabili. Tutt’altro. Ma si tratta, come osservava con acutezza alla conclusione dei lavori Rav. Joseph Levi di Firenze, di avere delle posizioni chiare da ambo le parti per definire un impegno su vie sicure: sincretismo e facili scorciatoie non aiutano la causa dell’incontro vero. Il progetto continua con prospettive concrete che stanno emergendo, rafforzate da quella dimensione emotiva e spirituale, che un ebreo proveniente dagli Usa definiva fondamentale per incoraggiare a continuare a scommettere sul dialogo. Lo aveva previsto anche Chiara Lubich quando nel 1997, lasciando per l’ultima volta la Cittadella di O’Higgins, aveva augurato che essa potesse offrire ai visitatori un raggio di quella che sarà un giorno la “Gerusalemme celeste”: un’esperienza che ebrei e cristiani protagonisti del dialogo si sono, senz’altro, portati via.