Ideale versus ideologia
Sono gli ideali, più degli interessi, a spingere avanti il mondo.
A volte siamo noi a generarli nella parte più luminosa della nostra anima. Altre volte siamo “chiamati” dagli ideali degli altri: un giorno scopriamo che erano già vivi dentro di noi e aspettavano solo di essere accesi. E iniziamo le avventure più sublimi e generative. In molti casi, gli ideali più grandi, innovativi e capaci di generare comunità, nascono da una persona portatrice di un dono o carisma particolare, capace di dar vita a esperienze collettive, a volte molto importanti e in grado di trasformare il proprio ambiente e il proprio tempo.
Qui l’ideale è profondamente intrecciato con la personalità del “fondatore”. Prende le sue carni, cresce e si nutre dei suoi talenti e dei suoi tratti caratteriali. In questo intreccio tra il carisma e la personalità dei fondatori si trovano l’origine e la forza delle “comunità carismatiche”.
Ma arriva puntuale il momento in cui la comunità, per continuare il suo sviluppo e non bloccarsi, deve iniziare un processo lungo e complesso per distinguere la “perla” dal “campo” che l’ha custodita, la personalità del fondatore dalla “personalità” del carisma.
Deve elaborare il mito fondativo. Se, infatti, il carisma coincide con il talento della persona che lo incarna e lo annuncia, non ha la forza di continuare oltre la persona stessa. Quando il carisma è invece eccedente rispetto alla persona, e quindi dà vita a comunità e movimenti, questa eccedenza diventa la sorgente che alimenta la comunità dopo il suo fondatore, proprio perché è più grande di lui.
Tutti i grandi carismi sono più grandi della persona carismatica.
L’individuazione di questa eccedenza, e quindi di questo “scarto” tra il carisma e la persona che lo contiene, è l’operazione fondamentale alla quale sono chiamati i continuatori di una comunità carismatica, che si presenta però come un lavoro collettivo molto difficile, perché richiede la capacità di capire che alla radice di quella specifica comunità non c’è stato solo un carisma-ideale: c’è stata anche la sua ideologia.
L’ideologia ha il suo ciclo di vita. La sua nascita avviene molto presto. Inizia con l’idealizzazione di alcune figure chiave della comunità, il fondatore o altre persone con particolari doti o doni.
Si passa quindi dall’ideale annunciato dal leader alla idealizzazione della sua persona, che agli occhi dei suoi seguaci comincia a perdere progressivamente contatto con i limiti, gli errori, le ombre tipiche della condizione umana di tutti.
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La seconda fase dell’ideologia, che fa seguito naturalmente e logicamente alla prima fase dell’idealizzazione del fondatore, è la coincidenza che si viene a creare tra il carisma che il fondatore incarna e annuncia e la sua persona.
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Quando però si passa dalla prima alla seconda e alle successive generazioni, diventa essenziale individuare e distinguere il carisma originario dalla ideologia che ha prodotto. Se questa delicatissima operazione chirurgica non viene tentata e coronata da successo, l’ideologia blocca lo sviluppo futuro del carisma, e spesso ne decreta la fine.
Le crisi delle comunità ideali sono prodotte dall’ideologia, non dall’ideale, e quindi possono essere superate solo dall’individualizzazione e poi eliminazione dell’ideologia. Ma l’ideologia agisce primariamente rendendoci incapaci di vederla, perché si riveste di ideale.
Per questa ragione le ideologie odiano le crisi e le negano radicalmente per molto tempo, finché diventano troppo evidenti (ed è in genere troppo tardi per tentare le cure). Una nota cruciale dell’ideologia è infatti l’esclusione dall’orizzonte degli eventi futuri della stessa possibilità della crisi o del declino.
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Il primo passo per il superamento di questa crisi consisterebbe allora nella consapevolezza che a essere in crisi non è il messaggio originario della comunità (il carisma), ma l’ideologia che è cresciuta da esso.
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Le comunità ideali e carismatiche restano vive nel tempo se ogni generazione ha il coraggio di provare a far rinascere l’ideale dalle ceneri della sua ideologia. Ma prima devono riuscire a vederla, capirla, accoglierla, amarla. E poi chiederle di morire.
Da “Elogio dell’auto-sovversione. La fioritura umana nelle organizzazioni a movente ideale” di Luigino Bruni (Città Nuova, 2017)