Icon, il potere dell’immagine scolpita
Se l’acqua, la terra, le foglie, i garofani, i mattoni, sono tra quegli elementi materici finora visti sul palcoscenico, usati in maniera drammaturgica e spettacolare da coreografi di diversa matrice stilistica – una per tutti, Pina Bausch con la sua memorabile terrigna Sacre, poi Nelken, Palermo Palermo, Vollmond –, nell’elenco mancava la creta, materia malleabile più di altre, come i corpi, e finora inimmaginabile il suo uso. A darle un’inedita dignità artistica, per esplorare il concetto di iconoclastia, è Sidi Larbi Cherkaoui (insieme allo scultore e co-creatore Antony Gormley e al costumista Jan-Jan Van Essche), che in Icon la modella con e sui danzatori, facendone, prevalentemente, oggetto drammaturgico prima che estetico.
Partendo da una riflessione sul tempo e sul come l’uomo tenda da sempre a fabbricare degli idoli investendoli di forza e di potere, per dopo distruggerli e ricominciare, crea una sorta di campo di battaglia dove, in una mutazione costante, si edifica e si demolisce, si lotta e si ama. «Icon tratta del potere dell’immagine scolpita − dichiara Gormley −. La nostra capacità di creare effigi o equivalenti corporei è una forma di furto rispetto all’evoluzione o al potere divino. L’Ebraismo e l’Islam vietano la creazione di qualsiasi forma d’immagine in virtù della capacità della scultura di controllare e modificare le nostre attitudini. Siamo partiti dalla trasformazione di una massa inerte in immagine e poi dall’immagine all’entropia o alla disintegrazione. La tensione tra iconografia e iconoclastia è una questione che non ci lascerà mai».
Lastricata su gran parte del palcoscenico, l’argilla – ben tre tonnellate! – viene via via strappata, mossa, composta, sgretolata, rimodellata, per moltiplicarsi e assumere fattezze di elmi, maschere, corazze, corone, totem, organi sessuali, oggetti di gioco, di violenza. I danzatori, evocando rituali ancestrali e moderni, la manipolano sui loro corpi vivaci o ricurvi, simulando giovinezza e vecchiaia, vitalità e fatica, diventando loro stessi sculture viventi. Da movimenti liquidi e rotatori di tutto l’ensemble in lunghe tuniche poi col petto scoperto, legati inizialmente dall’ondeggiare delle braccia, i danzatori – 13 del Teatro dell’Opera di Göteborg e 5 della compagnia Eastman fondata e diretta da Cherkaoui – rotolano, si sporcano, si abbracciano, giocano, si lapidano, si difendono, componendosi in piccoli gruppi, quindi in uscite solitarie o di coppia, per poi ritornare in un unico coro con movimenti scomposti, grezzi, poi ampi, veloci, compulsivi, acrobatici come l’hip hop, infine pacati quando modellano, con la creta, una gigantesca figura umana sdraiata, poi rannicchiata sulle gambe, fissandola come un idolo. E modellandosi in quella posa si pietrificano tutti loro.
Artista epico, alla guida di una compagnia cosmopolita con la quale è da sempre dedito al multiculturalismo, all’esplorazione delle molteplici discipline e tradizioni, alle contaminazioni dei patrimoni culturali – qui la musica, eseguita dal vivo è un’affascinante partitura di arrangiamenti che mescolano sonorità orientali, antiche ballate francesi, canti della tradizione siciliana, calabrese e abruzzese –, Cherkaoui continua così, anche con Icon, a raccontare e sondare i misteri dell’anima e del corpo. Ma l’effetto complessivo, forse per l’ingombrante presenza materica e l’accumulo di sequenze, risulta un po’ confuso e distante. Non arriva al cuore.
“Icon”, coreografia Sidi Larbi Cherkaoui, disegno scene Antony Gormley, disegno costumi Jan-Jan Van Essche, disegno luci David Stokholm, suono Joachim Bohäll, drammaturgia Antonio Cuenca Ruiz, maestri per l’argilla Matilda Haggärde, Joel Stuart-Beck; musicisti dal vivo Anna Sato, Patrizia Bovi, Gabriele Miracle, Kazunari, Woojae Park. Coproduzione GöteborgsOperans Danskompani. A Torino, Teatro Regio per Torinodanza. Spettacolo inserito in MITO SettembreMusica.