I Walser dal Reno alle Alpi
Da qualche anno la Val Formazza, con i suoi declivi digradanti dal Monte Rosa, è mèta di brevi vacanze primaverili. È in una di queste occasioni che abbiamo assistito a rappresentazioni folcloristiche di gruppi in costume, le cui origini si perdono nel tempo. Si tratta di discendenti dei walser, un popolo celtico che ha fatto delle Alpi la propria residenza, scegliendo spesso le alte cime, soprattutto attorno al Monte Rosa. Ma la scoperta, quasi una rivelazione, è venuta il Natale scorso a Gressoney, durante la messa di mezzanotte nella piccola chiesa di La Trinité. Un gruppo di bambini dagli occhi azzurri ed i capelli biondi, in costume walser (coloratissimo e diverso da quello più serio di Formazza), hanno intrattenuto i fedeli prima della messa con una rappresentazione sacra in lingua titsch, un dialetto tedesco che ancora parlano i discendenti delle antiche famiglie insediatesi in valle. Ci è venuta così in evidenza una realtà unica, quasi incredibile in questi anni di globalizzazione: una piccola comunità di origine germanica, dai tratti somatici propri di quel popolo, è rimasta intatta con i suoi usi e costumi e la sua lingua, all’interno della minoranza francofona residente in Val d’Aosta, a sua volta perfettamente integrata nello stato italiano. Un esempio vivissimo e modernissimo di unità nella diversità, propria del vero federalismo auspicato dallo svizzero Denis de Rougemont nel suo L’uno e il diverso. Quel che sembra ai più utopia, in questa valle del Monte Rosa e in poche altre località alpine limitrofe è da secoli realtà e rappresenta un esempio di convivenza pacifica fra etnie, che dovrebbe essere esportato ovunque. Insediamenti walser si trovano infatti a Gressoney e Issime, ad Alagna ed Ayas, a Campello e Formazza, a Macugnaga e Ornavasso, a Rima e Ribella, nonché nell’unico insediamento svizzero di Bosco Gurin. La comunità valdostana è quella che più evidenzia il rispetto reciproco che le singole minoranze hanno, nel rincorrersi di tre lingue che convivono nell’uso quotidiano, nei nomi dei luoghi, nelle usanze immutate da secoli. Le origini dei walser Il nome evoca l’epopea di una gente che fra l’ottavo e il nono secolo iniziò una migrazione dalle valli del Reno e dall’Oberland bernese (dove erano arrivati in antecedenza provenienti da terre abitate dalle tribù tedesche degli alemanni) verso l’arco delle Alpi centrali e orientali. Caratteristica comune a questi gruppi, staccatisi da un unico ceppo, era sia l’origine germanica sia la tendenza ad abitare nelle parti più alte dei monti, là dove nessun insediamento umano era ancora arrivato, costituendo così la più alta civiltà montana rimasta ancor oggi viva e attiva. Fu così che dalla Svizzera germanofona, dal Vallese (da qui il nome), gli antichi walser attraversarono i passi del Monte Rosa fino alla Val Formazza, alla Val d’Ossola, a Macugnaga, alla Val d’Ayas, alla Valle del Lys o di Gressoney ed alla Valsesia. Altre minoranze si insediarono in località del Liechtenstein, della Svizzera, dell’Austria e della Savoia, luoghi dove non si trovano ora che rarissime tracce, ad eccezione di Bosco Gurin. La colonizzazione di alcune valli, in particolare in Val d’Aosta, fu favorita dai signori e dai vescovi di quelle terre, che diedero ai nuovi venuti gli appezzamenti più elevati in altezza, da loro posseduti ma non sfruttati. Ne danno testimonianza atti notarili che risalgono fino al 1200. In questo periodo si affermò un’usanza che spiega il permanere dell’etnia e della minoranza walser fino ai nostri giorni: i feudatari concedevano le terre in affitto ereditario, per la capacità dimostrata da quei coloni nel disboscare e coltivare quei territori impervi. Fu così che i discendenti degli alemanni a poco a poco si liberarono dalla condizione servile e diventarono proprietari delle terre, che passavano ai loro eredi nel momento del decesso, tramandando l’attaccamento ai luoghi e alle origini. Oggi nei paesi dove sono insediati da generazioni, si riconoscono gli abitanti walser per l’aspetto tipicamente germanico: fattezze gotiche, capelli e occhi chiari, statura più alta della media e portamento adeguato all’abitudine di salire le montagne. L’architettura walser Se le persone si riconoscono dai tratti somatici o dai costumi, le loro abitazioni sono quanto di più tipico possa esistere nell’architettura montana: anche in questo caso i legni, le pietre, il fieno accatastato, le tipiche colonne a fungo, le ringhiere di assi, tutto concorre a fare delle case walser un unicum nella cultura alpina. Lo stadel, la baita in legno della tradizione, viene ricostruita ancora oggi con le stesse caratteristiche di secoli fa, forse più confortevole ma riconoscibilissima nei suoi tratti fondamentali: grossi tronchi incrociati e incastrati agli angoli e tetti spioventi fatti di grosse lastre di pietra, per riparare gli interni dalle intemperie e dalle forti nevicate. Le case dei walser sono inoltre solitamente in gruppo e formano piccoli agglomerati nei punti più alti dei paesi, là dove si avventurano solo gli sciatori o gli alpinisti. I piccoli villaggi mantengono un esemplare equilibrio fra passato e presente e sono testimoni di un modo di vivere duro ma sereno, a contatto con la natura più impervia che comunque non è mai nemica dell’uomo.