I violini della speranza

Strumenti testimoni della Shoah, sopravvissuti all'oblio, hanno suonato all'Auditorium Parco della Musica di Roma per mantenere viva la memoria collettiva e parlare a tutti, attraverso il linguaggio universale della musica, di dialogo e pace
I violini della speranza

«Noi non siamo semplici violini. Siamo testimoni della Shoah». Una frase che sintetizza il concerto svoltosi ieri sera presso la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma.“I violini della speranza” il titolo della serata, con protagonisti violini che «hanno avuto una vita difficile», come ha raccontato la conduttrice. Strumenti sopravissuti all’odio, all’oblio, all’indifferenza e alla violenza, che oggi suonano per far sì che la memoria resti vivida e che mai più, per nessuna ragione al mondo, si dimentichi quanto è successo settant’anni fa. Perché tutto questo si potrebbe ripetere.

Le storie di questi strumenti sono le storie di uomini e donne, di famiglie che li hanno posseduti, e spesso si sono trovati a suonare una musica che dava all’orrore – commenta ancora la conduttrice – una parvenza di normalità. Uno dei violini faceva parte di una delle orchestrine che ad Auschwitz accompagnavano i deportati al lavoro e, spesso, anche verso le camere a gas. Magari intratteneva anche i gerarchi nazisti nel corso delle loro feste.

Un altro è stato raccolto e conservato da un operaio francese, dopo essere stato gettato da un treno in viaggio verso i lager. Ma fra questi violini, ci sono anche gli strumenti a corda di alcuni musicisti ebrei che nel ’36 lasciarono la Germania per andare a formare l’Orchestra Filarmonica della Palestina (poi di Israele), voluta fortemente da Toscanini e Huberman: una via di salvezza dalla deportazione. E poi ancora i violini decorati con la Magen David (la Stella di Davide) che accompagnavano i suonatori ambulanti di musica klezmer. Ma ci sono anche quelli che viaggiarono con i rifugiati alla volta degli Stati Uniti e furono nascosti nelle soffitte per dimenticare l’orrore. «Il violino è uno strumento errante – dice il comunicato stampa che ha annunciato il concerto di questi violini della speranza – e ha accompagnato molti ebrei nelle loro peregrinazioni, anche quelle più estreme, di fuga e di morte».

Il tutto esaurito – con biglietti andati a ruba nel giro di pochi minuti – da solo spiega il successo della manifestazione, che ha celebrato la 69esima Giornata della Memoria, perché, come ha scritto papa Francesco al rabbino Skorka, suo amico a Buenos Aires, «mai più si ripetano tali orrori, che costituiscono una vergogna per l'umanità».

I protagonisti della serata, oltre all’eccezionalità degli strumenti, restaurati dal liutaio israeliano Amnon Weinstein, sono stati i violinisti solisti Shlomo Mintz, ebreo e israeliano, Cihat Askin, turco e musulmano, e Francesca Dego, 24 anni, italiana di padre cattolico e di madre ebrea – 46 membri della sua famiglia non fecero mai ritorno da Auschwitz –, oltre al violinista albanese cattolico Ermir Abeshi, che si è unito agli altri per suonare il Concerto per quattro violini di Antonio Vivaldi. Un’altra presenza molto significativa è stata quella del violoncellista tedesco Alexander Hülshoff, che ha suonato lo strumento che è stato di David Popper, figlio del cantore del ghetto di Praga, trucidato dai nazisti il 19 gennaio 1945. Rappresentanti, quindi, delle tre religioni monoteistiche hanno voluto mostrare che la musica è capace di unire, al di là di ogni confine, e di dare speranza anche nelle prove più terribili.

La serata è stata una delle molte manifestazioni svoltesi in vari parti d’Italia proprio per aiutare tutti, in particolare le nuove generazioni, a non dimenticare e a lavorare per un’accoglienza dell’altro in un momento in cui non mancano dolorosi e insensati episodi di intemperanza e di discriminazione.

Proprio per confermare che il messaggio passa anche alle nuove generazioni l’orchestra protagonista della serata è stata la JuniOrchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, composta da strumentisti dai 14 ai 21 anni, diretti dal maestro Yoel Levi, direttore della Symphony Orchestra di Seoul.

Toccante il momento in cui un violista turco musulmano e un violoncellista tedesco cristiano hanno suonato una preghiera ebraica: gesto simbolico che ha parlato di speranza, per la possibilità di dialogo fra le religioni. La musica ne può essere un veicolo privilegiato.

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