I Vicerè
Roberto Faenza si rifà al romanzo omonimo, scritto da Federico De Roberto nel 1894. È la saga della famiglia catanese Uzeda, discendente dai vicerè di Spagna, negli anni della caduta del regno borbonico. Viene in mente Il gattopardo di Tommasi di Lampedusa-Visconti, che presentava la stessa questione spinosa del trasformismo, espresso nella celebre frase: Tutto cambia, perché tutto resti uguale. Il nobile Tommasi sottolineava il passaggio storico della caduta della nobiltà, ricordata nel suo fascino elegante e sfarzoso. De Roberto, inquadrabile nel filone verista, preferì, invece, mettere in evidenza la denuncia di quel misto di prepotenza e avidità, immutabile nel tempo, che si manifestò in quel momento. Faenza segue la forza espressiva del romanzo e la traduce in immagini capaci di arrivare a tutti. Lo fa con equilibrio ed eleganza. Quando il protagonista Consalvo è bambino e spia gli adulti, i vari personaggi ci vengono presentati in uno stile pacato, che oscilla tra atmosfere di sogno e momenti realistici. I vicerè La giusta distanza Quando Consalvo è diventato un giovane, ribelle e libertino, lo stile diventa più duro, mostrandoci una crescita delle stravaganze e degli eccessi. Il principe (un Buzzanca capace di intensa espressività drammatica), è guidato da egoismo dispotico e preda della superstizione. Il figlio, sentendolo lamentarsi del maligno e del suo influsso misterioso, gli risponde lucidamente che è ben chiaro chi sia il maligno presente. Nell’urlo di Buzzanca traspare la disperazione secolare e irredimibile causata dall’arrogante avidità che, come il tumore maligno della sua testa, si annida nel potere da sempre. Né meraviglia che il figlio, succedendo al padre, si senta posseduto dallo stesso demone e porti a compimento una prepotenza già in lui presente, a tratti, da anni. Le sue ciniche parole sul modo di governare, pronunciate nel finale, risuonano drammaticamente attuali. Ma, il confronto di queste affermazioni con lo smascheramento del male compiuto nel corso del film, fa loro perdere la drasticità di una condanna senza rimedio, rendendole capaci di denunciare il pericolo, ma anche di ricordare che può essere evitato con scelte orientate alla giustizia e alla fraternità. Regia di Roberto Faenza; con Lando Buzzanca, Alessandro Preziosi, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Lucia Bosè. Raffaele Demaria