I viandanti dei piccoli ponti
Itanti anni di ricerca di una rapida e visibile unità ci hanno convinto che non esiste ancora un unico grande ponte che possa unire le due estremità del baratro che da mille anni separa l’Oriente dall’Occidente. Ma si possono trovare o piuttosto costruire di nuovo dei piccoli ponti: se non ancora tra le Chiese, almeno tra le persone, le culture, le iniziative, gli slanci dello spirito che cercano uno spazio comune nelle realtà divise. Uno di questi ponti porta il nome di san Clemente, papa e confessore della fede del I secolo, morto nel 101 (martire secondo la tradizione) a Chersones sul Mar Nero. Nella stessa città, quasi nove secoli dopo, ha ricevuto il battesimo il gran principe di Kiev san Vladimir, il quale ha trasportato proprio a Kiev una parte delle reliquie del papa. Un’altra parte fu portata dai santi Cirillo e Metodio a Roma nella chiesa di San Clemente, dove è sepolto anche san Cirillo. 19 secoli dopo, san Clemente, presente nelle sue reliquie a Roma e a Kiev, può operare – in modo discreto ma miracoloso – per la costruzione di quei piccoli legami di unità che a volte si mostrano più resistenti e duraturi di tanti ambiziosi progetti. L’ultimo di questi miracoli è stata l’apertura del Centro San Clemente a Kiev l’8 dicembre scorso (proprio nel giorno del santo, secondo il calendario giuliano, e della festa dell’Immacolata, per la Chiesa cattolica). Il centro è stato inaugurato congiuntamente dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani e dall’arcivescovo di Poltava, Filippo, presidente della Commissione per l’educazione religiosa, il catechismo ed il lavoro missionario della Chiesa ortodossa ucraina dipendente dal patriarcato di Mosca. Questa iniziativa ha ricevuto pieno appoggio anche dal capo della Chiesa ucraina, il metropolita Vladimir Sabodan, e dal capo della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, il cardinale Lubomir Husar. L’auspicio – ha detto il cardinal Kasper durante la sua omelia – è che questo centro ecumenico diventi un punto di riferimento per lo studio, il dialogo e l’incontro fraterno tra le Chiese. Sembra che questo sia un piccolo albero, ma con l’aiuto di Dio e con il vostro sostegno, esso potrà portare buoni frutti. Certo, la sua apertura in un appartamentino di tre stanze a Kiev non è avvenimento che possa attirare l’attenzione dei grandi quotidiani in Occidente. Ma chi conosce dall’interno la situazione ecumenica nell’Est dell’Europa sa che anche piccoli gesti possono acquistare un significato simbolico. Prima di tutto è significativo il contesto storico di oggi, condizionato da due avvenimenti non legati fra di loro. Il primo è l’incontro di Ravenna (dove la Chiesa russa non ha partecipato), nel quale si è fatto un passo importante verso la riscoperta della lingua comune del primo millennio cristiano; lingua comune che presto o tardi aprirà la strada anche alla piena comunione, anche se il cammino sarà lungo e difficile. Un altro avvenimento o, meglio, processo – molto meno visibile per l’Occidente – che si sta svolgendo proprio nei nostri giorni, è l’ucrainizzazione graduale della Chiesa ortodossa in Ucraina. Processo che si esprime anche nella sua crescente indipendenza, se non canonicamente, di certo nella sua linea ecumenica e pratica, Davvero, bisogna avere un po’ di fantasia per immaginare nelle condizioni attuali che un cardinale della Chiesa romana insieme al nunzio apostolico abbiano partecipato ad ogni azione comune – specialmente all’apertura di un centro ecumenico – con un arcivescovo ortodosso. Anzi, con il responsabile degli affari interni della Chiesa ucraina, l’arcivescovo Mitrofan Yurchuk, accanto al nunzio apostolico Ivan Yurkovic, con il rettore dell’Università cattolica di Lviv, Boria Gudziak ed il presidente dell’Università nazionale San Pietro Mohila, Vyacheslav Briuchovetsky, e con tanti altri. Basta ricordare la visita recente del patriarca Alessio in Francia, accolto con grande entusiasmo a Notre-Dame di Parigi, ma sospettato in Russia dai fondamentalisti ortodossi per il reato di aver pregato per qualche istante insieme con i cattolici. I fondamentalisti non mancano, certo, anche in Ucraina, ma non sono loro a dare il la. Così l’ultimo Concilio della Chiesa ucraina ha condannato senza mezzi termini la cosiddetta Unione dei cittadini ortodossi, il bastione dell’integralismo locale. Il Centro di San Clemente, secondo il progetto del suo promotore e direttore, Constantin Sigov, è destinato a mettere in comunicazione – attraverso gli incontri, le conferenze, i corsi teologici, i seminari -l’educazione nelle scienze umane con la formazione propriamente religiosa, la quale rappresenta il nucleo di ogni conoscenza autentica dell’uomo. Il Centro stesso è collegato al Campus universitario Politecnico, la più importante fra le università ucraine. Tutti i Paesi dell’Est europeo soffrono della totale mancanza del sapere più elementare in materia spirituale, a causa del vuoto lasciato in eredità dall’epoca sovietica. Un altro scopo del centro è la fondazione, in un futuro abbastanza vicino, di una nuova casa editrice, anch’essa intitolata a san Clemente, la quale pubblicherà nella traduzione ucraina e russa agili volumetti che presenteranno alcuni classici del pensiero teologico del nostro tempo. Fra gli autori previsti, Yves Congar, Hans Urs von Balthasar, Jean Daniélou, Tomás Spidlík, Enzo Bianchi ed altri ancora. Ma lo scopo principale è la creazione di un clima per la comunione, proprio nel suo senso originale di koinonia, che oggi si potrebbe chiamare anche ecumenismo nello spirito. In quello stesso giorno, durante il ricevimento a casa sua, il metropolita Vladimir ha fatto un brindisi per coloro che lavorano per l’unità. Il suo tono era sobrio, ma pieno di speranza. Noi lavoriamo per l’unità – ha detto – ma non riusciremo a fare tutto durante la nostra vita. Tuttavia il nostro lavoro sarà compiuto da coloro che attraverseranno i ponti costruiti da noi. SERVIRE LA PACE Possa lo Spirito di Cristo risorto – ha detto il cardinale Kasper durante l’apertura del centro San Clemente – consentire al nostro cuore e alla nostra mente di recare i finiti dell’unità nelle relazioni tra le nostre Chiese, affinché possiamo servire insieme l’unità e la pace di tutta la famiglia umana. Possa lo stesso Spirito condurci alla piena espressione del mistero della comunione ecclesiale, che noi riconosciamo con gratitudine come un dono meraviglioso di Dio al mondo, un mistero la cui bellezza rifulge specialmente nella santità alla quale siamo tutti chiamati. Ed il Centro di San Clemente dovrebbe diventare un segno di speranza.