I viaggi del Novecento
A Venezia un’accurata rassegna sui maestri del “secolo breve”. Un inatteso percorso metafisico.
Hanno spesso detto che l’arte italiana del Novecento è ricca di contraddizioni. Artisti che guardano al passato, lo rifiutano, lo riscoprono, lo demitizzano. O si slanciano in sperimentazioni, dalle più comprensibili alle più ardite, in un soggettivismo esasperato che disorienta noi, poveri spettatori e osservatori, o ci annoia.
Arriva una piccola rassegna di ventotto opere, raccolta con mano intelligente da Stefano Cecchetto, e la confusione, lo smarrimento evaporano. Percorrendo le due sale di Palazzo Loredan, infatti, e passando di opera in opera, si avverte che il meglio – o comunque ciò che gli si avvicina – di un secolo e delle sue voci è qui, a portata di mano. Rendendo giustizia anche a tutti i tentativi più o meno riusciti in cui si son affaticati i nostri artisti del secolo ventesimo.
A volte è sufficiente un’opera significativa di un autore per esprimerne la visione. Il difficile è la scelta. Qui è stata fatta con intuito preciso. Si passa da Modigliani a Sironi, da De Chirico a Baj, da Morandi a Fontana, fino a Parmiggiani, Guccione e Maraniello, cioè da fine Ottocento ai nostri anni, con grande scioltezza.
I Ritratti femminili di Modigliani (forse migliore come disegnatore che come pittore), di finezza delicata, aprono la rassegna, seguiti dalle esplosioni dei fiori di De Pisis, di un colore così raffinato da stordire. I Cavalli antichi di De Chirico affiancano, fra gli altri, la Natura morta di Guttuso, calda da parere un sole; la Natura morta di Morandi vibra di luce bianca, extratemporale, mentre I bambini di Enrico Baj si avvolgono in spirali giocose.
Il Concetto spaziale di Fontana apre una ferita sul candore dell’inconoscibile, come le Linee e forme di mare di Piero Guccione, nel 2006, si affacciano ben oltre l’orizzonte azzurro indefinito e Omar Galliano, nel 2008, nel Grande disegno siamese, apre due volti uguali a suggestioni e pensieri di bellezza immortale.
Cosa lega queste e le altre opere esposte in mostra? Non certo lo stile, l’epoca, la storia personale dei singoli artisti. Ognuno dei quali manifesta una individualità ben precisa. Quello che ci sorprende – e poi forma il filo rosso della rassegna – è che si ha la sensazione-certezza, nel soffermarsi di fronte a ciascuna opera (cioè a ogni “anima”) di star facendo un viaggio dalla terra, a cui son tutte ben radicate come soggetti e forme, verso una diversa dimensione.
Un piccolo grande viaggio metafisico, tout court. Se si vuole, sotto certi aspetti, anche “spirituale”, in senso lato. I cavalli dechirichiani evocatori del mito e della forza, i “buchi e i tagli” di Fontana, le astrattezze di Sironi, il surrealismo di Savinio e così via, formano altrettante tappe di un itinerario che, lo si capisce percorrendolo, punta all’immortalità.
Ognuno di questi dipinti è infatti un desiderio formidabile, espresso con voci differenti, ma decise, di non morire. Perciò, ad esempio, la solarità della Natura morta di Guttuso nel suo furore diventa voglia di un altro mondo, così come i volti senza tempo di Galliani.
È la sorpresa a fine mostra. Uscendo da queste stanze si avverte che abbiamo compiuto un viaggio “oltretomba”, al di là della caducità, insieme a questi maestri. I quali hanno continuato il percorso dell’arte anche nel secolo breve, senza voltarsi indietro e senza rinunciare alla ricerca di un “altro” mondo. Come dice il meraviglioso dipinto Senza titolo di Claudio Parmiggiani (2008) che trasforma le atmosfere alla Morandi in luce assoluta. Quella che batte a Venezia, città che giustamente accoglie questa rassegna.
Dalla figura alla figurazione nel Novecento italiano, Venezia, Istituto di Scienze lettere e arti, Palazzo Loredan. Fino al 6/11 (catalogo Silvana editoriale).