I “tiepidi” di Laodicea

Così vennero stigmatizzati, nell’Apocalisse, i cristiani di questo che fu uno dei centri più importanti dell’Asia Minore occidentale in epoca ellenistico-romana. Oggi le sue splendide rovine, patrimonio Unesco, stanno conoscendo un rilancio

 

«All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi…». È l’inizio dell’ultima lettera che, nell’Apocalisse, Cristo indirizza a sette Chiese dell’Asia Minore: lettere di elogio, di incoraggiamento, ma anche di rimprovero. E un rimprovero particolarmente duro meritano i suoi discepoli laodicesi, la cui fede si è intiepidita («Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente») dacché si sono cullati orgogliosamente nel loro benessere, nella loro autosufficienza: mondanizzati, direbbe papa Francesco.

Cristo ama le sue Chiese e vorrebbe salvare questa dall’abisso in cui è caduta. Dice infatti: «Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti». E prosegue con una delle frasi più consolanti del Nuovo Testamento, che esprime tutta la vicinanza di un Dio alla propria creatura: «Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me».

Anche l’apostolo Paolo indirizza a questa comunità una lettera andata purtroppo perduta, mentre in un’altra scritta ai cristiani di Colosse ne elogia il probabile fondatore, Epafra, aggiungendo un saluto a Ninfa, presso la cui dimora si riunivano i laodicesi prima che la loro città diventasse sede vescovile.

Laodicea. Non meno di sei antiche città portavano questo nome. Quella di cui ora parlo è Laodicea di Frigia, situata nella valle del fiume Lico, affluente del Meandro, nella regione occidentale dell’attuale Turchia. Fondata verso il 250 a. C. da Antioco II, re di Siria, era dedicata alla consorte Laodice e grazie alla sua posizione strategica quale crocevia tra l’arteria che proveniva dall’Anatolia centrale e quella che conduceva alla costa egea, divenne celebre per le sue operazioni bancarie, per le sue industrie tessili, rivali di quelle della vicina Colosse e di Mileto, e per la sua rinomata scuola di medicina dove si preparava un collirio ritenuto efficace contro le malattie oculari.

Non a caso Cristo fa seguire al suo cocente rimprovero a questa Chiesa il consiglio di «comperare da me dell’oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere».

Si può immaginare la risonanza di questo brano dell’Apocalisse allorché viene riletto dalle comitive di pellegrini in visita alle antichità di Laodicea proprio tra i resti di quella basilica nord che evoca i primi destinatari della famosa lettera!

Qui pure, nel 364, si tenne un importante sinodo, le cui norme non vertono su questioni di fede e di dottrina, ma unicamente su questioni disciplinari e liturgiche: matrimoni, battesimi, confessioni, digiuni, eresie, rapporti con giudei e non cristiani. Alcuni canoni intendono reprimere pratiche idolatriche e magiche, altri ancora fissano il canone dei libri della Sacra Scrittura, gli unici da proclamare in chiesa.

Molti siti archeologici della Turchia vanno raggiunti in luoghi isolati e pieni di fascino, lontani dai centri moderni. Tra questi è Laodicea, su un altopiano a circa sei chilometri da Denizli, capoluogo del distretto, e a otto dal sito termale di Pamukkale, celebre per le candide formazioni naturali in calcare e travertino. Bianca anch’essa per il marmo della maggior parte dei suoi monumenti, ha un impianto urbanistico regolare, tipico delle città ellenistiche e romane. Attestano la magnificenza di un tempo due eleganti vie colonnate affiancate da botteghe già vivaci di commerci, due teatri capaci complessivamente di circa 30 mila spettatori, uno stadio per gare atletiche, corse di carri e spettacoli gladiatori che poteva ospitarne altrettanti, due agorà (una civile, l’altra commerciale), templi come il Sebasteion riservato al culto imperiale, complessi termali, un bouleuterion per le riunioni del consiglio cittadino. E ancora: una fontana monumentale trasformata nel V secolo in battistero, la basilica nord e quella sud, e altri edifici cristiani di epoca bizantina.

Sono rovine sparse in un largo raggio, con vaste aree vergini ancora da scavare. Recente è il rilancio del sito, oggi patrimonio Unesco e oggetto di nuove indagini. Sono anche ripresi i restauri, concentrati sull’agorà occidentale (uno spazio enorme di 35 mila metri quadri) e sul maggiore dei teatri, per adibirlo a spettacoli.

Triste il declino di Laodicea, dovuto a più fattori. Distrutta da un terremoto nel 60 d. C., la città risorse più splendida di prima con i propri mezzi, senza aiuti imperiali – e ciò dà la misura delle sue possibilità finanziarie. Ma soffrì molto a causa di nuovi terremoti, così frequenti nella regione (oltremodo disastroso fu quello del 494 d. C.). Occupata dai turchi selgiuchidi nel XII secolo e in seguito dagli ottomani, nel 1402 fu praticamente rasa al suolo dai mongoli di Tamerlano. Ciò che ne restava subì continue spoliazioni di materiali da costruzione a vantaggio del vicino centro di Denizli, dove si erano ormai ridotti i laodicesi sopravvissuti a incursioni, carestie e calamità naturali.

La scomparsa di quella che fu una delle più importanti metropoli dell’Impero romano ha fatto parlare talvolta di punizione divina, in riferimento al citato brano dell’Apocalisse. Perché invece non pensare che un così grave monito abbia ottenuto, almeno nei destinatari immediati della lettera, l’effetto sperato di conversione, che quel bussare premuroso di Cristo alla porta dell’anima abbia trovato accoglienza in molti?

 

 

 

 

 

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