I tempi di Dio
Ci sono luoghi che uniscono le Chiese d’Europa perché rappresentano un tratto di strada percorso in comunione profonda. Uno di questi luoghi è il monastero romano che sorge sul colle del Celio, porta il nome del Papa san Gregorio Magno e celebra quest’anno il millenario di fondazione. È stato questo luogo sacro a fare da sfondo sabato e domenica scorsa all’incontro tra papa Benedetto XVI e l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. Primo un colloquio privato in Vaticano, poi la celebrazione dei vespri nella chiesa di San Gregorio Magno al Celio, presso la Comunità monastica camaldolese.
Un incontro di preghiera accolto nella comune tradizione monastica: le due chiese – la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana – sono profondamente unite tra loro, ma sono state purtroppo attraversate nei secoli dalla divisione. Successive evoluzioni intraprese da entrambe le Chiese, hanno poi portato a ulteriori divisioni che inevitabilmente le hanno ancor più allontanate. È inevitabile dunque pensare a tutto questo quando si vedono il Papa e l’arcivescovo di Canterbury insieme. Inevitabile pensare alla decisione che le Chiese anglicane, in alcuni parti del mondo, stanno vagliando circa una loro definitiva apertura all’episcopato femminile o all’iniziativa presa dal Papa di accogliere la richiesta di gruppi di anglicani di entrare in comunione piena con la Chiesa cattolica, istituendo per loro un ordinariato personale.
Ma ci sono luoghi e tempi della storia anche presente che richiedono silenzio, che mettono cioè a tacere ogni analisi “politica” su quanto è successo nel passato e ogni previsione circa l’evoluzione della situazione nel futuro. E così è stato sabato e domenica al monastero di San gregorio al Celio. Da qui, Gregorio (lui stesso un monaco) inviò sant’Agostino di Canterbury e un gruppo di 40 monaci benedettini in Gran Bretagna nel 590. Dai monasteri inglesi, i monaci partirono poi per evangelizzare l’Olanda, la Germania, la Svizzera, l’Austria, fino al fiume Elba. Si può dunque dire che tutto il Centro Europa è frutto di una evangelizzazione ispirata da Gregorio Magno.
«Scegliere Dio – ha detto allora il Papa condividendo con l’arcivescovo di Canterbury il tempo dell’omelia ai vespri vespertini di sabato 10 – vuol dire anche coltivare umilmente e pazientemente il dialogo ecumenico, accettando, appunto, i tempi di Dio». E ha concluso esprimendo l’auspicio che la comunione vissuta questi giorni a Roma «resti non soltanto come ricordo del nostro incontro fraterno, ma anche come stimolo per tutti i fedeli, cattolici e anglicani, affinché, visitando a Roma i sepolcri gloriosi dei santi apostoli e martiri, rinnovino anche l’impegno di pregare costantemente e di operare per l’unità, per vivere pienamente secondo quell’ut unum sint che Gesù ha rivolto al Padre».
Anche l’arcivescovo di Canterbury nella sua omelia ha parlato delle virtù dell’umiltà, della contemplazione e della profezia. Ma c’è un passaggio nella conferenza che Rowan Williams ha tenuto il giorno dopo al monastero romano di Camaldoli che fa riflettere per le sue implicazioni al dialogo ecumenico. Egli fa notare che ci sono aspetti del monachesimo in quanto tale che ci aiutano a capire meglio alcune cose riguardo l’ecumenismo, e che rendono le comunità monastiche partner cruciali in ogni incontro ecumenico. «Siamo fratelli e sorelle nella Chiesa – ha detto l’arcivescovo – non perché istintivamente e naturalmente ci apparteniamo, parliamo la stessa lingua o siamo d’accordo; ma perché siamo chiamati a essere insieme nelle nostre estraneità e a essere fedeli in quelle estraneità».