I talenti dell’Italia
Nel nostro Paese ci sono ancora storie buone. C’è anche voglia di fare impresa come Marco e Matteo Cabassi al Nord e Vincenzo Linarello al Sud. C’è passione per cinema e cultura, respiri di bellezza e spaccati di realtà che i registi Pupi Avati e Fernando Muraca imprimono sulle loro pellicole. Si scommette sulle relazioni, come tessuto sano su cui rifondare un’idea d’Italia che nelle sofferenze delle famiglie ferite, in quelle dei migranti che bussano alla nostra porta, apre squarci di guarigioni interiori e sociali come hanno precisato a più riprese il filosofo Jesus Moran, copresidente del Movimento dei Focolari, l’antropologa Susy Zanardo e la famiglia Rovea.
Il palco di Loppianolab fa da casa a questa Bella Italia in dialogo con la platea, con la gente comune attirata da questo laboratorio civile, con la partecipazione, nella sola giornata di sabato, di circa 3 mila persone. Dalla platea e dal basso parte l’esperienza delle 60 città che hanno aderito allo Slotmob, la campagna contro l’azzardo raccontata da Gabriele Mandolesi. E sempre dal basso, mescolati al pubblico, prendono voce le tante vicende di accoglienza che i lampedusani hanno consegnato alla storia del nostro Paese, lasciando agire non tanto la paura, ma la virtù civica dell’ospitalità, del far casa.
Pupi Avati, da saggio del cinema e della vita, racconta con ironia e verità quel momento dell’esistenza in cui ha scoperto la sua vocazione, “il mio talento, perché ciascuno è prescelto, è eccezionale per cui ciò che fa e ciò che è”. E lo si vede non solo nelle immagini dell’ultimo film, Il ragazzo d’oro, ma nella sua esperienza di famiglia, nelle scelte di lavoro non riconosciute, che fanno però di questa professione, come delle arti, un prodotto “frutto di un corpo sociale”, come riassume bene Fernando Muraca.
Il dramma del lavoro perduto irrompe, in sala, con la storia di Tamara, licenziata dopo 15 anni di attività in una rete televisiva. La ascolta Vincenzo Linarello, presidente del consorzio di cooperative Goel nella Locride, che è partito proprio dalla precarietà per dare le ali ad un progetto di imprese sociali che dimostrano quanto l’etica, anche in terra di ‘ndrangheta, può risultare competitiva e vincente. La ascoltano anche Marco e Matteo Cabassi, immobiliaristi, cambiati dai licenziamenti di alcuni dipendenti effettuati negli anni ’80 per salvare le aziende di famiglia. Ora la loro realtà guarda non solo agli immobili, ma anche all’arte e all’agricoltura biologica. “Quando lavoriamo vogliamo che la nostra attività abbia un cuore ed è per questo che abbiamo aiutato anche Vincenzo, perché ci siamo innamorati del suo coraggio e tutte le volte che a Milano è difficile, ci ripetiamo che se ce l’ha fatta lui nella Locride, anche noi non possiamo mollare”.
Loppianolab oggi ha mostrato e fatto incontrare tante strade, non semplici sentieri, ma una rete di bene che attraversa il nostro Paese e gli indica, modestamente, un modello: non tacere sul dolore, ma avere il coraggio di entrarvi, non evitare le piaghe perché vanno colti lì i segni della guarigione, della ripresa, non rassegnandosi all’inevitabile. Il bene è vivo e gode di buona salute.