I soccorritori in divisa bianca
Un applauso lungo tre minuti ha accompagnato la consegna a Claudio Gaudiosi, ammiraglio di squadra e sottocapo di Stato maggiore della Marina, di una foto dove decine di migranti in giubbetto rosso siedono a poppa di una delle navi di soccorso che solcano il Mediterraneo recuperando uomini e donne alla deriva sui barconi della speranza. La giornata del rifugiato, dello scorso 20 giugno in Campidoglio, lo ha visto in prima fila, silenzioso, attento, accondiscendente di fronte alle tante storie tragiche che grazie anche all’intervento dei suoi uomini avevano aperto uno spiraglio alla speranza e alla vita. Non commenta. Ringrazia semplicemente, mentre la sala non smette di battere le mani a questi uomini che lavorano senza sosta per evitare un altro tre ottobre, un’altra strage del mare.
«L’impegno della marina è molto consistente – spiega Gaudiosi, intervistato da Città Nuova. Abbiamo per mare sette unità navali di cui una maggiore che raccoglie i profughi trovati alla deriva e più di mille sono gli uomini impegnati in questa operazione che vede un grande esempio di sinergia tra tutti i corpi dello Stato perché a bordo c’è la polizia che lavora a stretto contatto con Capitaneria di porto e Guardia di finanza e con le altre forze che hanno come obiettivo il salvataggio in mare».
Riuscite anche a contrastare le organizzazioni criminali che stanno dietro questi viaggi della disperazione? «Oltre a salvare le vite in mare, diritto sancito dal diritto internazionale, noi abbiamo anche la forza e la capacità di catturare i mercanti di morte: più di duecento persone sono state consegnate alla legge, grazie anche alla polizia che è a bordo delle nostre navi. Spesso riconosciuti e identificati dagli stessi migranti e il loro arresto già in mare dimostra la ferma volontà che questi mercanti devono smetterla di lucrare sulla vita di povera gente. Questo per noi è un compito fondamentale, tanto quanto il soccorso».
L’Europa è chiamata in causa su più fronti in quest’azione di soccorso e di contrasto. Cosa ne pensa?
La marina farà il suo dovere finché il governo ci affida questa missione ma è ovvio che non siamo la soluzione del problema. Le risposte sono politiche e diplomatiche insieme perché bisogna agire nei Paesi da cui questi rifugiati provengono. Ci sono tante iniziative messe in campo dal Governo sia per coinvolgere ovviamente l’Europa perché noi siamo la frontiera sud, sia la comunità internazionale, anche l’Onu è chiamata in causa perché al soccorso va accompagnata una seria azione diplomatica che miri alla risoluzione degli assillanti problemi di molti Paesi del Medioriente e dell’Africa».
Qualcuno auspica i respingimenti in mare e qualcuno ve li imputa pure. Cosa risponderebbe?
Parlare di respingimenti in mare è solo sterile polemica. Noi siamo chiamati a soccorrere persone che viaggiano in condizioni pietose e i numeri lo dimostrano ampiamente: su barche piccolissime vengono stipati il doppio dei passeggeri consentiti e le situazioni di pericolo sono talmente evidenti che è impossibile solo pensare che possano affrontare un viaggio di ritorno. Limitiamoci ai fatti».