I signori dell’aldilà
Povero Ade, il dio del mondo sotterraneo e degli inferi! Così poco onorato rispetto ai suoi colleghi del pantheon greco da non aver goduto mai di un culto autonomo specifico con santuari a lui interamente dedicati. Al figlio di Crono e Rea, nella spartizione dell’Universo con i fratelli Zeus e Poseidone, era toccato, infatti, il dominio del poco piacevole regno ultraterreno, del quale doveva far rispettare le inflessibili leggi: prima tra tutte quella secondo cui nessun defunto poteva ritornare sulla terra. Per di più Ade significa “l’invisibile”, “l’oscuro”: poteva, una divinità di tal nome, non essere temuta e da evocare il meno possibile?
A renderla meno problematica e a spiegare, nello stesso tempo, certi fenomeni naturali ci pensarono i poeti creatori di miti, che gli affiancarono una compagna: la nipote Kore (detta poi Persefone), figlia della sorella Demetra, che Ade sorprese mentre coglieva fiori in un prato e rapì nell’oltretomba per farla sua sposa. Dove fosse avvenuto il fattaccio, ricordato anche nell’Inno omerico a Demetra (fine VII secolo a. C. – inizi del VI), è variamente indicato dalle fonti antiche (in Arcadia, a Creta, in Sicilia), ma il luogo più di ogni altro legato al mitico episodio è Eleusi, in Attica, dove ancora oggi esistono i resti di un santuario misterico dedicato a Demetra, dea dell’agricoltura, e a Kore-Persefone.
Come andò a finire dopo la sparizione della povera fanciulla, giacché tale è il significato della parola greca Kore? Disperata, la madre andò cercandola per mare e per terra. Infine, avendo sollecitato l’intervento di Zeus, ottenne dal sovrano degli dei il ritorno della figlia sulla terra per due terzi dell’anno. Allegoria della natura, la sposa di Ade ritornata dalle tenebre alla luce del sole rappresentava dunque il seme di grano destinato a “morire” sottoterra per poi germogliare in superficie. Veniva così spiegato il ciclo delle stagioni e allo stesso tempo il dio degli inferi era reso meno pauroso, più accettabile. Entrambi i sovrani dell’aldilà presiedevano poi ai molteplici ambiti connessi alla morte: fine e nuovo inizio, prosperità e infertilità, rigenerazione e salvezza.
Riavuta parzialmente l’amata Persefone – nel regno dei morti per i mesi infecondi dell’anno, sulla terra per quelli fruttuosi –, Demetra istituì in suo onore sacri misteri ai quali erano legati, per chi vi prendeva parte, benefici in vita (ricchezza) e prospettive di salvezza dopo la morte. Così infatti si conclude il citato Inno omerico: «Felice tra gli uomini che vivono sulla terra colui ch’è stato ammesso al rito!/Ma chi non è iniziato ai misteri, chi ne è escluso,/giammai avrà simile destino, nemmeno dopo la morte, laggiù, nella squallida tenebra». Il culto prevedeva che gli iniziandi ripercorressero in certo modo le tappe di questo mito di morte e rinascita.
Onoravano la coppia divina Ade-Persefone anche i seguaci dell’orfismo, corrente religiosa a carattere mistico diffusa soprattutto nelle colonie greche d’Occidente (a partire dalla fine del V secolo a. C.). Tipiche di essa le laminette auree che, collocate sulla bocca dei defunti, recavano inciso – anticipando l’attuale “navigatore satellitare”! – l’itinerario tortuoso da seguire nell’aldilà per giungere a buon fine.
A Kore, divenuta Persefone, ci si rivolgeva sia per assicurarsi in vita la fecondità in senso lato, sia per garantire dopo la morte un destino benevolo alla propria anima. Il suo culto era particolarmente diffuso in Magna Grecia e in Sicilia, dove i depositi votivi dei santuari a lei dedicati hanno restituito in abbondanza statuette e oggetti di uso femminile insieme ad armi, queste ultime ad attestare la partecipazione ai riti di passaggio anche di maschi dell’aristocrazia in procinto di essere assunti tra i guerrieri, ciò che li rendeva cittadini a tutti gli effetti.
Famosi, tra tanti ex voto, i pinakes rinvenuti tra il 1908 e il 1912 da Paolo Orsi nel Persephoneion di Locri Epizefiri, sulla costa ionica della Calabria. Queste tavolette in terracotta della metà del VII secolo a. C./terzo quarto del V, destinate essere appese agli alberi circostanti quello che gli storici antichi consideravano il «più illustre santuario d’Italia», raffigurano a rilievo le principali scene del mito e del relativo culto: il momento drammatico del rapimento, metafora delle nozze, quando Kore viene afferrata da Ade e, le braccia alzate in gesto di terrore, trascinata via su un carro trainato da cavalli alati; l’apertura della “cista” con un bambino, simbolo dell’imminente matrimonio e di fecondità; o quando l’ormai regina dell’aldilà appare seduta in trono accanto al suo sposo, riccamente abbigliata e adorna di gioielli, con in mano gli attribuiti a lei peculiari: la melagrana e il gallo.
Altre tavolette rappresentano invece la raccolta dei frutti, il lavaggio rituale e la preparazione della sposa, la presentazione del corredo alla dea e le offerte prenuziali delle fanciulle locresi in attesa di svolgere nella società il loro ruolo di spose e di madri: nell’insieme, un complesso unico nel mondo greco, composto da 5.300 frammenti che hanno permesso di individuare oltre 170 tipi di scene.
Questo fenomeno religioso, tra i più importanti e suggestivi della Magna Grecia, è ora oggetto della mostra Ade e Persefone. Signori dell’aldilà al Museo Archeologico di Reggio Calabria (fino al 16 giugno). I reperti selezionati, molti dei quali presentati al pubblico per la prima volta dopo un accurato restauro, provengono per lo più da Locri, ma anche dalle sue sub-colonie di Medma e Hipponion (oggi Rosarno e Vibo Valentia) e sono un invito a proseguire la conoscenza con la visita, al livello B del museo, dell’ampia sezione espositiva dell’allestimento permanente dedicata al santuario locrese di Persefone.