I sessanta del signor Rossi

Un personaggio sempre in bilico tra virtù e dannazione, che ha saputo raccontarsi e raccontarci senza cadere nella retorica. Ora però è tempo d'auguri
Vasco Rossi
E’ un periodo in cui molto si parla di lui. Un po’ per le sue esternazioni sul web, un po’ per la polemica col Liga (che per altro va ricomponendosi), un po’ per i suoi misteriosi problemi di salute, un po’ per l’affettuoso elogio pubblico appena pubblicato dal collega Jovanotti in occasione del suo sessantesimo genetliaco.
Sessant’anni in effetti non sono una data qualunque, neppure per la più amata e longeva fra le rockstar nostrane. Neppure per uno che la vita l’ha attraversata – è fin troppo facile dirlo – all’insegna di una spericolatezza tutta sua: uno scapicollarsi su terreni spesso così sdrucciolevoli  ch’era praticamente impossibile non farsi male. Ma col tempo, si sa, l’andatura rallenta, le scempiaggini si diradano, e gli appartenenti a codesta strana razza, si ritrovano a rimembrare nostalgicamente trionfi e fesserie, ma circondati comunque da un’aura prematura di santità o d’eroismo o da maestro sapienziale: per quel poco che so della sua persona, suppongo che il Vasco sia tuttora incerto se godersela, snobbarla, o ritenerla insostenibile.

Il mondo mass-mediatico, sappiamo bene anche questo, tende a esagerare tanto i meriti quanto i limiti e le défaillances.  E nel caso del Nostro l’ha fatto ancor più del solito, trasformandolo via via da icona della ruspanteria provinciale a messia del rock nostrano, da sballato trasgressivo a poeta iper-realista, da furbetto da classifica a eroe trans-generazionale. Un di tutto e di più, perennemente in bilico tra virtù e dannazione, nel quale le verità oggettive si sono spesso confuse o hanno felicemente convissuto coi loro opposti.
Con alterne fortune il Blasco cavalca le cronache da più di trent’anni. Il che significa non solo che ha passato metà della vita a fare il verso a se stesso, ma anche a difendersi dagli effetti dei clamori che via via le sue imprese suscitavano. A Sanremo come a San Siro, con le sue canzoni o nella grandeur dei suoi mega-tour.

E’ presto, davvero troppo presto, per emettere giudizi definitivi, sempre ammesso che spetti a qualcuno farlo; certo è che il signor Rossi ha saputo quasi sempre raccontarsi e raccontarci senza scadere nella retorica, parlando e cantando “di stomaco” più che di cervello: un talento talvolta non meno prezioso di quello donato a ben più raffinati cesellatori di concetti; perché emozionare la gente non è certo più facile che farla ragionare. E poi oggi è tempo d’auguri, non d’analisi. E siamo certi che saprà accoglierli anche da chi, come il sottoscritto, non l’ha mai amato più di tanto.

 

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