I “Sei personaggi” secondo Ronconi

L’opera di Pirandello portata in scena dal Piccolo di Milano vuole tornare alla chiarezza auspicata dall’autore. «Non bisogna rappresentare ma accedere alla mente di qualcuno che ha pensato quelle figure»
I sei personaggi di Ronconi

Curioso che un maestro assoluto della scena come Luca Ronconi, con una lunghissima carriera, abbia affrontato solo ora uno dei testi emblematici del teatro del Novecento, "I Sei personaggi in cerca d’autore". Doveva arrivare il momento giusto. Ed eccolo come frutto di un triennale work in progress con un gruppo di neo-diplomati dell'accademia Silvio D'Amico al lavoro nel Centro teatrale Santa Cristina della campagna umbra. Questo studio-laboratorio ha preso forma alla scorsa edizione del Festival di Spoleto ed ora è stato ripreso al Piccolo di Milano.

«Nei "Sei personaggi" è come se Pirandello esplorasse le diverse possibilità della rappresentazione – dice Ronconi. Questo testo costituisce dell’ottimo materiale didattico ed è l’occasione ideale per condurre un gruppo di giovani a comprendere un elemento essenziale del fare teatro: i personaggi che si accingono a portare in scena sono figure immaginate da un autore. Non devono pensare di rappresentarli. Devono recitare, accedere alla modalità con cui si sta nella mente di qualcun altro».

L'ingresso dei "Sei personaggi" non è compatto, secondo copione. Qui irrompono uno ad uno dall'unica porta del lungo stanzone bianco (archivio della mente?) che si estende in profondità. Strisciano lungo le pareti, impauriti, timorosi, disperdendosi in vari punti dello spazio scenico: attaccati alla parete, sotto il tavolo, in un angolo. Sguardi assenti, occhi sbarrati, rabbia contenuta, labbra sogghignanti.

Sui loro volti e nei gesti vi si legge subito una pazzia latente, uno squilibrio mentale che li rende figure inquietanti. L'ultimo serra la porta sbattendola, come a precludere ogni via d'uscita e segnare una convivenza da animali in gabbia da vivisezionare, che li vedrà padroni della rappresentazione a scapito dell'ottuso e poi acquiescente Capocomico e dei suoi diffidenti attori che, giunti, invece, dalla platea, dovrebbero "metterli in scena".

In quella stanza della mente dell'autore, che riproduce anche una sala prove con solo un tavolino e alcune sedie metalliche, Ronconi li ha resi personaggi concreti, materializzazioni di un pensiero tormentoso con cui fare i conti. Contraendo il titolo in "In cerca d'autore", senza alterare la struttura del testo, il regista scava, estrae dal consunto, eppure ancora resistente testo pirandelliano, il nucleo drammatico. Lo sfronda e lo libera dalle incrostazioni che nel tempo si sono accumulate secondo le note formule di "teatro nel teatro", di "verità e finzione". Il risultato è, anche, la chiarezza che lo stesso Pirandello auspicava nella sua prefazione al testo.

Quel grumo d'umanità alla disperata ricerca di un autore che rappresenti la loro straziante vicenda, diventa un chiaro dramma familiare dentro le cui pieghe si è annidato il tarlo della malattia mentale. Dramma che, come noto, è costruito su un tentativo d'incesto tra la figliastra e il padre, con la vergogna di quest'ultimo; sull'angoscia della madre che si trascina i figli avuti da un altro amante; sulla bambina che annega nella vasca e il ragazzo che s'ammazza con una pistola. A dare la morte ai due è, con un'invenzione spiazzante, la figliastra, la quale, in un lucido raptus omicida, affoga la bambina in un secchiello d'acqua e asseconda la mano del fratello col revolver puntato alla tempia, per poi uscirsene sghignazzando, decretando così il disturbo psichico di quel consorzio umano già palesato all'inizio.
Ed è bravissima la giovane Lucrezia Guidone – dalla voce forzatamente roca, sguaiata, e dalle pose sensualmente volgari –, a cui si aggiungono, con accentuazioni vocali tipicamente ronconiani, tutti gli altri. Tra cui il padre di Luca Mascolo, che si alterna con Massimo Odierna.

Al Piccolo Teatro Studio di Milano

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