I “salti” di Starship

Si susseguono le prove del razzo di Elon Musk che dovrebbe portarci su Luna e Marte, fra progressi e fallimenti: una metafora della modernità?

Pochi giorni fa (il 4 marzo) nel sito di lancio di Boca Chica (in Texas) il team di SpaceX ha eseguito un nuovo test sull’ultimo prototipo di “Starship”: il razzo di nuova concezione che nelle intenzioni della promettente industria aerospaziale di Elon Musk verrà impiegato per i futuri viaggi verso la Luna e Marte.

Il punto di forza di SpaceX sta nell’avere sviluppato un sistema di controllo in grado di fare riatterrare i suoi vettori (“booster”) dopo la missione di lancio, per poterli così riutilizzare nelle successive missioni, risparmiando milioni di dollari e rivoluzionando le metodologie dei lanci spaziali e il relativo mercato. Il progetto “Starship” segue la stessa filosofia, ma questa volta il veicolo è destinato a diventare il razzo vettore più grande mai costruito, in grado di portare in orbita, o su altri pianeti, un carico utile davvero imponente.

Lo sviluppo di questa nuova tipologia di vettori procede velocemente e questa volta il test prevedeva una ascensione ad alta quota (10 km) e una discesa controllata per verificare il funzionamento del sistema di rientro (tecnicamente: una specie di “salto”). Il fatto che anche questo tentativo, malgrado l’atterraggio riuscito, si sia risolto inaspettatamente con l’esplosione del prototipo, non deve fare pensare ad un fallimento: lo scopo di ogni test, oltre a verificare l’efficienza del sistema, è infatti quello di raccogliere il maggior numero di dati possibile per migliorare il progetto e raggiungere nei passi successivi l’obiettivo finale.

L’interesse mediatico crescente intorno a questo tipo di test (dovuto anche al contagioso entusiasmo degli appassionati di tecnologia che commentano sui social le varie imprese raccogliendo milioni di visualizzazioni), rispecchia quello legato a tutte le imprese spaziali dei nostri tempi: dalle missioni Apollo che ci hanno portato sulla Luna, ai lanci degli Shuttle, ai viaggi delle sonde interplanetarie.

Tutto questo sembra ricordarci una cosa: siamo assetati di conoscenza e libertà, e ogni progresso tecnico-scientifico viene percepito come un successo personale e collettivo. In questo tipo di fenomeni si vedono emergere i tratti del profilo umano-esistenziale che più ci caratterizza: quello dell’uomo moderno e del suo immutato desiderio di conquista.

Qui la filosofia può dirci qualcosa: se in epoca medioevale l’ignoto è proibito – e infatti per Dante l’impresa di Ulisse, che vuole navigare in mare aperto al di là delle colonne d’Ercole, è un delitto che lo conduce alla rovina (Divina Commedia, Inferno, canto XXVI) – nell’epoca moderna è proibito non indagarlo. L’uomo della modernità è dotato di una ostinazione che, grazie al sostegno e alle conquiste della tecnica, gli dà la certezza di poter raggiungere ogni obiettivo, spostando sempre più in là il suo orizzonte. Romano Guardini (1885-1968) scriveva: “l’uomo dei tempi moderni subisce il fascino dell’ignoto, è attratto a esplorarlo. Comincia a scoprire nuove regioni e le conquista. Avverte la possibilità di lanciarsi arditamente nel mondo infinito e di divenirne signore”.

Noi “moderni” ci troviamo solitamente stretti in uno spazio (non solo fisico, ma anche metafisico) che non ci basta più e cerchiamo di sconfinare “oltre” e “altrove” per poter trovare un modo di sfogare quella “volontà di potenza” che ci caratterizza dall’interno. Se un tempo, sotto questa spinta, si esploravano e scoprivano nuovi territori (spesso a discapito delle popolazioni indigene…) oggi, con la stessa motivazione di fondo, puntiamo allo spazio esterno.

Il problema (che su larga scala possiamo chiamare “crisi dell’epoca moderna”) nasce nel momento in cui emerge la consapevolezza che ci sono limiti che non si possono né abbattere né scavalcare. Questa constatazione, associata all’assenza di riferimenti spirituali, porta alla conseguenza di sperimentare un senso di smarrimento, aridità esistenziale e valoriale. Anche questo sembra caratterizzarci tutti nell’attuale cambiamento d’epoca e nel più che attuale tempo pandemico. Che fare?

Guardini direbbe che non si può guardare “avanti” se allo stesso tempo non ci si guarda “dentro” e inviterebbe tutti a trovare un punto, da ricercarsi nella propria interiorità, dal quale riuscire a vedere il mondo in una nuova prospettiva, alzando poi lo sguardo e dilatando la propria interiorità verso gli altri. Allo stesso modo, metaforicamente parlando, i “salti” di Starship ci dicono che occorre saper apprendere dai propri errori e, con lo stesso spirito col quale si affrontano le più ardue imprese tecnico-scientifiche, puntare sì in alto, ma ritrovare dentro di noi i giusti riferimenti e le giuste motivazioni per poter continuare a nutrire quella tensione – intrinsecamente e splendidamente umana – che ci fa seguire la freccia che indica la direzione verso il futuro, di salto in salto.

 

Guarda il video di Starship, qui

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