I reti, guerrieri e contadini

Visitando il Museo retico di Sanzeno nel Trentino si scopre un popolo che sui metalli aveva costruito la sua vita sociale
Bronzetto guerriero

All’imbocco della passeggiata naturalistica che conduce al santuario di San Romedio è situato il Museo retico di Sanzeno, in provincia di Trento. Inaugurato nel 2003, raccoglie una serie di reperti originali delle epoche che partono dal 3000 a. C. all’epoca romana e ci raccontano la storia antica della Val di Non.
 
Ma chi erano i reti, ai quali questo museo è dedicato? Fonti greche e romane consentivano di localizzare questo popolo in un territorio a cavallo dell’arco alpino, fra il Lago Maggiore e il Pieve e fra il Lago di Costanza e la Bassa Valle dell’Inn. Al di là del nome però, poco o nulla si sapeva: rare le stesse testimonianze archeologiche.
 
Un dato è certo: non si trattava di un popolo omogeneo, né di un’associazione di stirpi differenti. Parecchi elementi fanno credere che veneti, etruschi e greci confinanti a Sud abbiano chiamato così le popolazioni alpine sulla base della comune venerazione per la dea Reitia. Verso la fine dell’età del bronzo (XIII sec. a. C.), nel loro territorio, anche grazie all’estrazione del rame, si costituirono sei gruppi fortemente legati tra loro per affinità di cultura, abbigliamento, armi, usanze funerarie e cultuali. Con la lavorazione del ferro, a partire dal X sec. a. C., la loro ricchezza andò diminuendo, finché essi entrarono verso il VII-VI secolo nella scia delle influenze etrusche. I successivi secoli IV e III videro il deciso affermarsi nell’area retica dell’influsso celtico, cui subentrò – a partire dal II secolo – quello romano.
 
Nella esposizione un settore è riservato alla scrittura e alla lingua, al nome delle stirpi insediate nel territorio, all’armamento, alla viticoltura, all’arte ceramica e della lavorazione dei metalli e alle divinità. Asce, pugnali, roncole, ornamenti muliebri e maschili, ex voto, ecc., testimoniano una cultura un po’ guerriera, un po’ agreste, di cui – dopo la sconfitta definitiva avvenuta sotto Augusto – restò ben poco, tranne il nome “reti” e la fama che il vino retico godette presso la corte imperiale di Roma.
 
Viene spontanea, dopo una visita del genere, la riflessione sul problema quanto mai attuale di tante minoranze minacciate oggi di estinzione, malgrado la sempre crescente sensibilizzazione della società verso una “unità nella diversità”.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons