I ragazzi di Comeet

La loro base: una tendopoli allestita dentro un parco pubblico concesso dal comune. Il loro campo d’azione: l’intera città di Padova, con iniziative nell’ambito sociale ed ambientale presso associazioni di volontariato. Un campo di lavoro, insomma, che dal 29 luglio al 5 agosto ha visto impegnati nella città del Santo oltre duecento Giovani per un mondo unito veneti, trentini e friulani, tra i 17 ed i 24 anni. Comeet il titolo di questo laboratorio di fraternità inteso – nelle intenzioni di chi lo ha progettato – a essere anima della città: programma, questo, certo ambizioso e che potrebbe suonare anche un tantino utopico a qualcuno che non ha avuto modo di vedere all’opera questi ragazzi. Ogni mattina li vedevi partire a gruppi dal loro villaggio temporaneo nel parco Brentelle, diretti ai luoghi che il Centro padovano per il volontariato aveva loro indicato: alcuni impegnati con gli ospedalieri dell’Avo o quelli di associazioni che si occupano di disabili, altri in piccoli cantieri di Città nuova • n.22 • 2007 34 ristrutturazione edile, altri alle Cucine popolari – il celebre refettorio padovano per i senzatetto – o con Legambiente alla pulizia degli argini del Piovego, il canale che attraversa la città. Alle prese con bambini ed anziani, sgomberando il garage di una casa di accoglienza o lavorando fianco a fianco con i benedettini dell’antica Abbazia di Praglia. Chi a ristrutturare una casa, a tinteggiare un appartamento per extracomunitari, e chi a dare una mano in un negozio del mercato equo e solidale, o a risistemare la biblioteca di una parrocchia. Altrettante occasioni per fraternizzare con la gente. Qualcuno non poteva credere che si dessero tanto da fare gratis e di propria iniziativa; e c’era chi, sentendosi a proprio agio con quei giovani così affiatati, raccontava loro tutta la storia della sua vita o – è il caso di un monaco dell’abbazia di Praglia – il percorso piuttosto movimentato della sua vocazione. Sacrifici e contrattempi non sono certo mancati a quelli di Comeet, molti dei quali scoprivano che insieme si riesce a fare piacevolmente anche operazioni del tipo: raccogliere per l’intera giornata immondizie, siringhe ed escrementi dagli argini disastrati di un fiume. Finito il lavoro, il villaggio temporaneo di Bretelle diventava centro, dal pomeriggio fino a sera, di una animazione che comprendeva attività sportive (calcetto e pallavolo), un pub con gio- chi di società e musica, proiezioni di film. O semplicemente si passeggiava in un’atmosfera rilassata e gioiosa, raccontandosi la giornata. I comeeting, appuntamenti serali nell’arena di Comeet, uno spazio fornito di gradinate, hanno visto susseguirsi svariati testimoni: dai Ragazzi per l’unità prodigatisi in un doposcuola per figli di immigrati in un quartiere veronese (la fraternità raccontata da adolescenti) al settantenne impegnato in una comunità di accoglienza per stranieri (la fraternità distillata in una intera esistenza), alla giovanissima suora che con semplicità ha offerto la sua testimonianza a contatto con giovani prostitute (la fraternità con i diseredati e con gli ultimi); dai giovani di Treviso che hanno dato vita ad un’iniziativa a favore dei carcerati della loro città, all’amministratore delegato di un gruppo industriale: sua la biografia di un ex dirigente del gruppo stesso il quale ha testimoniato una visione diversa del lavoro, vissuto come passione e al contempo come servizio e responsabilità verso gli altri. Ospite d’eccezione Fausto De Stefani, icona dell’alpinismo italiano, vero antidivo ed antieroe, che invece di descrivere le sue gesta sportive ha parlato del proprio rapporto con la natura e con quel grande interlocutore che è il silenzio; dell’arte di ascoltare gli altri e dell’animo umano; nonché dei bambini nepalesi per i quali ha costruito una scuola. Comeet non poteva non concludersi, il sabato sera, con una festa. Al Prato della Valle, vera agorà padovana, una ventina gli stand a rappresentare le associazioni di volontariato che hanno ospitato i ragazzi del campo di lavoro. Su un grande palco, tanta musica e maxischermi per proiezioni di foto e filmati. Una festa dell’intera città per illustrare i risultati del lavoro compiuto. Viene in mente quanto aveva affermato una ragazza di Comeet intervistata da Rai 3: A cambiare il mondo non saranno le grandi azioni, ma i piccoli gesti quotidiani di amore verso chi ci è accanto. Ma da soli non si fa niente; vogliamo farlo e lo faremo noi, qui, insieme. Certo, una settimana così vissuta, per quanto in modo capillare, non basta a cambiare definitivamente il volto di una città. E se questo laboratorio di fraternità diventasse tradizione? Non potrebbe anche Padova, come altre città ricche, ma che faticano a diventare comunità, contare su qualcosa che davvero può darle un’anima? Il saluto delle autorità Claudio Sinigaglia, vicesindaco: Una città deve diventare comunità, e lo diventa quan do le funzioni incontrano l’altro, altrimenti diventano fine a sé stesse. Mons. Antonio Mattiazzo, vescovo: Quando in una società si è soli e non c’è la trasmissione della vita, non c’è futuro… Mi auguro che questa iniziativa smuova un po’ la nostra città, le metta dentro qualcosa di bello e di grande. Claudio Piron, assessore alle politiche giovanili: Se abbiamo il coraggio di fare spazio ai giovani, loro sono in grado di essere operatori di convivenza, di pace. Chissà che Padova non diventi un campo fisso per fare questi cantieri di fraternità e costruire insieme una città a misura d’uomo.

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