I racconti di nonno Yerwant

A Susin di Sospirolo, sulle Dolomiti Bellunesi. «Là c’erano le storie a cui il suo cuore anelava». Nel nuovo romanzo di Antonia Arslan le origini della sua fortunata saga armena
Arslan

Sospirolo. Non vi fa pensare questo nome a orizzonti di sogno o a una ghiottoneria dolciaria? Nel primo caso, avreste indovinato. Sta infatti a indicare un comune veneto della provincia di Belluno, il cui territorio è in parte compreso nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Un luogo veramente da sogno sia sotto l’aspetto naturalistico (con cime come il Monte Sperone, laghi come il Mis e il Vedana), sia sotto quello storico-artistico (con ville signorili che vanno dal XVII al XIX secolo, immerse in splendidi parchi, e con l’antica certosa presso il San Gottardo che oggi ospita una comunità di suore).

Sospirolo verrebbe da “sospiroi”, come in origine venivano chiamati gli abitanti dei casali “sotto lo Sperone”. Se poi vi aggiungi Susin, una sua frazione che sfoggia proprio al centro del paese la pregevole chiesa cinquecentesca di San Martino, ottieni Susin di Sospirolo: e non vi fa pensare, questo nome ricco di sibilanti, a un vento gentile che passa per le valli e smuove le cime degli ontani?

Ma basta con le digressioni! Se ho nominato Susin è per aver scoperto questo sito leggendo Il rumore delle perle di legno, l’ultimo romanzo di Antonia Arslan. «L’avventura della Masseria delle allodole e della Strada di Smirne continua con queste perle di legno, memoria dei bar di una volta, quando le tendine oscillanti tenevano lontane le mosche e lasciavano entrare i clienti». Così lei spiega il titolo del terzo episodio della sua saga armena, anch’esso pubblicato da Rizzoli. 

Si addice l’accenno ai bar di una volta, fatto dalla scrittrice nata da padre italo-armeno e madre italiana, a questa rievocazione della sua prima giovinezza trascorsa tra Padova, nella grande famiglia di papà Khayël (famoso medico otorinolaringoiatra) e di mamma Vittoria (bella, sportiva e straordinariamente vitale), la Roma dei nonni materni e Dolo, dove abitano il patriarca nonno Yerwant e la zia Henriette, unici superstiti dei massacri che hanno costituito l’argomento dei primi due volumi.

Stavolta, dunque, l’azione si è spostata dalla Turchia in Italia, anche se avrà il suo epilogo — quasi a voler chiudere il cerchio — con una vacanza ad Atene e nella Grecia delle isole, proprio di fronte a quella costa turca che richiama l’Anatolia di nonno Yerwant, dove la saga prese avvio.

Diverso è anche il registro adoperato: alla drammaticità che caratterizza i primi due episodi è subentrato il tono intimo, pacato, spesso ironico e divertito, di chi rievoca ad anni di distanza i fatti minuti di famiglia con la vasta schiera di amici e conoscenti, le estati al mare o in montagna, la scoperta del fascino delle letture, il percorso scolastico, il primo amore… Così nei due capitoli iniziali, che abbracciano gli anni finali della guerra, quando l’autrice è solo una  bambina, è appena accennato il bombardamento che a Padova ha quasi distrutto l’edificio dove abitano gli Arslan, lasciando indenne il bar dalle tendine di legno.

Non sempre la narrazione segue un filo cronologico, talvolta procede per salti temporali sull’onda dei ricordi: tocco di verità che rende fresca e attraente questa rivisitazione senza languori, fatta con gli occhi di una bambina che non finisce di sorprendersi davanti allo spettacolo della vita.

«Luogo degli affetti e patria del cuore» della Bambina  invecchiata (così si definisce l’autrice nel raccontarsi in terza persona) è Susin di Sospirolo, dove tutte le estati gli Arslan trascorrono le vacanze: «Là s’incrociarono per lei Oriente e Occidente: l’amore senza misura e senza confini del nonno italiano, che si piegava a ogni suo capriccio e osò resisterle solo una volta (ma poi le chiese scusa), e l’altro paziente amore, riservato e previdente, del nonno armeno, i suoi occhi sotto le palpebre pesanti, i suoi racconti che le fecero dono, sotto i glicini dell’albergo alpino Fratelli Doglioni, della Patria Perduta aldilà del mare. Là c’erano le storie a cui il suo cuore anelava, c’erano orrore e coraggio, amore e morte e desolazione».

Racconti che, ad anni di distanza, riemergendo come una sorgiva dal suo corso sotterraneo, hanno ispirato la felice vena narrativa di Antonia Arslan, colei che più di altri ha fatto conoscere in Italia la tragedia del popolo armeno.

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